Sei cose sul voto in Iowa
Chi ha vinto, chi ha perso, chi ha ancora carte da giocare, chi no
di Francesco Costa
Mitt Romney ha vinto i caucus repubblicani dell’Iowa, staccando Rick Santorum di appena 8 voti. Al terzo posto è arrivato Ron Paul, al quarto Newt Gingrich, e praticamente rimangono questi i candidati ancora in grado di dire la loro nella corsa alla nomination. Gli altri si ritireranno, presto o tardi, ma a meno di enormi sorprese non riusciranno a rientrare in partita. Sul fronte dei delegati, l’Iowa non ha deciso molto: si assegnavano con metodo proporzionale, quindi in questo momento Romney, Santorum e Paul ne hanno 7 a testa. Politicamente, però, l’Iowa conta molto: in passato una vittoria in Iowa ha affossato o rilanciato campagne elettorali, ha resettato sondaggi in giro per gli Stati Uniti, ha rimescolato le carte in modo determinante. La prossima tappa delle primarie americane si terrà in New Hampshire il 10 gennaio. Moltissime cose sono ancora in discussione, dopo l’Iowa. Altre no.
Gli sfidanti di Romney
Che il favorito per la vittoria finale fosse Mitt Romney era noto, per profilo politico, consenso popolare, forza economica e organizzativa. E sappiamo anche che Romney non era obbligato a vincere in Iowa, per la strategia che si è dato, quanto in New Hampshire. Oggi abbiamo anche la conferma di un’altra cosa nota, riguardo Romney, cioè della sua difficoltà a sfondare nell’elettorato più conservatore. Non è detto che sia una cosa negativa, vista la necessità per Romney di attrarre anche indipendenti e democratici delusi, se vorrà battere Obama, ma potrebbe rendere difficoltosa la conquista della nomination. Oggi sappiamo con chi Romney dovrà vedersela: con Rick Santorum, con Ron Paul e – un po’ meno – con Newt Gingrich.
Le speranze di Santorum
Chiunque abbia seguito un minimo Rick Santorum negli ultimi anni probabilmente non si sarebbe mai aspettato di vederlo seriamente in corsa per la nomination. Santorum è un estremista religioso, noto più per le sue sparate contro gli omosessuali che per le sue proposte politiche. A un certo punto i sondaggi lo davano all’ultimo posto, in Iowa. In attesa di capire meglio come si sia distribuito demograficamente il voto, di certo sappiamo che l’elettorato locale gli era favorevole (nel 2008 premiò Huckabee, altro candidato molto religioso e molto conservatore) e che aver battuto nell’ultimo mese tutte le 99 contee dello Stato di certo gli ha dato una mano. Santorum ha intercettato il consenso che nei mesi avevano conquistato e perso Bachmann, Perry, Cain e Gingrich, trovandosi nel posto giusto al momento giusto. Il problema di Santorum è che essendosi concentrato sull’Iowa oggi si trova privo o quasi di strutture e risorse organizzative negli altri Stati, a cominciare dal New Hampshire. Per competere con Romney ha bisogno di trarre il massimo dal buon risultato di stanotte, soprattutto dal punto di vista economico, e cominciare a spendere.
Ron Paul ha già finito?
Viceversa, nel caso di Ron Paul il risultato dell’Iowa potrebbe decretare l’inizio della fine. Già da qualche giorno i sondaggi avevano visto la progressiva erosione dei suoi consensi. In fin dei conti, se Paul si è fatto battere sia da Romney che da Santorum in Iowa, dove il suo messaggio radicale e populista poteva avere una particolare presa, perché dovrebbe riuscire a vincere altrove, nel New Hampshire o nei grandi Stati? Le prossime settimane daranno la risposta a questa domanda, in ogni caso sappiamo già che se la traiettoria di Santorum è ascendente, in questo momento quella di Paul è discendente.
(La guida del Post alle primarie repubblicane)
L’ultima possibilità di Gingrich
La stessa cosa vale per Newt Gingrich, che sapeva della sua imminente sconfitta e infatti nei giorni scorsi aveva messo le mani avanti. Quello che cambia rispetto a Paul è l’ottima posizione ricoperta negli ultimi tempi da Gingrich nei sondaggi in South Carolina, dove si vota il 21 gennaio. Dovrà tenere duro, ma dovesse vincere da quelle parti si garantirà la sopravvivenza almeno fino al supertuesday.
Chi è già fuori
Rick Perry e Michele Bachmann escono dall’Iowa con le ossa a pezzi e senza speranze. Perry è già tornato in Texas, ufficialmente per “prendere decisioni” riguardo la candidatura: il ritiro è praticamente certo. Bachmann dovrebbe fare lo stesso presto. Si apre la partita per ereditare i loro voti, quindi, anche se non sono moltissimi: i consensi di Perry sembrano più adatti a spostarsi verso Santorum o Gingrich, quelli di Bachmann potrebbero essere preda di Ron Paul. Huntsman ha deciso di saltare l’Iowa, puntando tutto sul New Hampshire, dove comunque lo aspetta un compito proibitivo.
Un altro candidato?
In Iowa nessun candidato è arrivato oltre il 24 per cento. Nessuno, insomma, si è dimostrato in grado di convincere nemmeno un quarto dell’elettorato repubblicano. È il segnale della nota debolezza della squadra di candidati, nonché dell’insoddisfazione generale dell’elettorato repubblicano. Teoricamente questo, unito alla dimostrata volatilità del consenso, potrebbe aprire la strada a un’altra candidatura. Non si vedono però in giro né candidati conservatori che siano solidi ed esperti al punto da non fare la stessa fine di Perry o Bachmann, né candidati moderati in grado di convincere i tea party e far fuori Mitt Romney. Lo spazio politico ci sarebbe, comunque. Manca la persona in grado di occuparlo.
foto: AP Photo/Charlie Riedel