L’euro, dieci anni dopo
Il primo gennaio 2002 entrarono in circolazione le prime monete e banconote in euro: la crisi rende incerto fare un bilancio
Il primo gennaio 2002 entrarono in circolazione le prime monete e banconote della moneta unica europea, l’euro. Al momento dell’introduzione, aveva già una lunga storia: i criteri delle finanze pubbliche che gli stati avrebbero dovuto rispettare per partecipare alla moneta unica erano stati fissati con il trattato di Maastricht nel 1992 e il nome era stato adottato ufficialmente nel dicembre del 1995, al Consiglio Europeo di Madrid. La nuova valuta nacque il primo gennaio 1999: i tassi di cambio con le monete nazionali dei paesi partecipanti (l’euro rimpiazzò inizialmente undici monete) vennero fissati una volta per tutte basandosi sui valori di mercato del giorno precedente, e per tre anni la valuta venne usata solo nei pagamenti elettronici.
Oggi l’euro non se la passa bene, colpito dalla crisi finanziaria più grave dalla sua creazione: ieri la moneta unica europea è scesa per la prima volta in dieci anni sotto i 100 yen, e si sta indebolendo anche nei confronti del dollaro, andando sotto quota 1,3 dollari per euro per la prima volta da gennaio. Continuano i timori che la crisi dei debiti pubblici nazionali porti alla dissoluzione dell’unione monetaria.
Ma la moneta unica ha molte cose di cui andare fiera, come ricorda oggi sul Messaggero l’ex presidente del Consiglio e della Commissione Europea Romano Prodi, sottolineando la portata “storica” dell’avvenimento al termine di “un cammino lungo e difficile”.
Per otto anni l’euro ha funzionato come doveva, riducendo l’inflazione, obbligando i paesi a una maggiore disciplina di bilancio e, attraverso la diminuzione dei tassi di interesse, rendendo possibile il mantenimento dell’equilibrio finanziario anche nei Paesi pesantemente indebitati, come l’Italia.
Oggi l’euro è pur sempre la seconda moneta più usata come moneta di riserva internazionale, dopo il dollaro. L’area dell’euro, complessivamente, è la seconda economia più grande del mondo. Altri sei paesi ne sono entrati a far parte dopo l’introduzione iniziale: Grecia, Slovenia, Cipro, Malta, Slovacchia e Estonia, e l’euro serve oggi per i pagamenti quotidiani di oltre 300 milioni di persone. Nei primi anni della sua esistenza, la moneta unica convisse con un periodo di grande crescita economica a livello mondiale, con rari momenti di arresto.
Poi c’è stata la crisi greca, che è sembrata cogliere i meccanismi di governo della moneta unica del tutto impreparati. La crisi, dice Prodi, “ha messo a nudo le differenze di efficienza e di produttività che si erano accumulate dopo la costruzione dell’euro”. A dire il vero, anche poco dopo la sua introduzione ci fu chi criticò la moneta unica, accusata di aver causato un rialzo generalizzato dei prezzi: della questione si è occupata pochi giorni fa Giuliana Ferraino sul Corriere della Sera, dicendo che in Italia gli aumenti ci sono stati, ma la colpa non è solo dell’euro. In alcuni settori commerciali, poi, i prezzi sono diminuiti molto come nell’elettronica e nella grande distribuzione, mentre nel mercato immobiliare l’aumento è stato molto sensibile.
Il problema vero è che nel decennio che sta per finire il potere d’acquisto degli italiani non solo è rimasto fermo ma, secondo la Confcommercio, tra il 2007 e il 2011 il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di oltre il 7%, con un calo dei consumi pro capite di oltre tre punti percentuali dall’inizio della crisi a oggi.
I maggiori responsabili della creazione dell’euro non sembrano essere d’accordo su quali siano stati i problemi della moneta unica. La soluzione ai problemi dell’euro, dice Prodi, è quella di una maggiore integrazione nella politica economica tra i paesi dell’euro, dei titoli obbligazionari comuni (gli eurobond) e di una maggiore forza per le istituzioni europee.
In questi anni, insomma, i paesi europei sarebbero stati troppo gelosi della propria sovranità nazionale nel momento di decidere le proprie politiche economiche. Mentre Valery Giscard d’Estaing, ex presidente francese, sostiene che il problema è stato l’allargamento troppo rapido ad altri paesi, soprattutto dell’Europa dell’est, 10 dei quali entrarono a far parte dell’Unione Europea nel 2004 rendendo il gruppo “non più omogeneo”. Altri sostengono che i problemi fossero già nel disegno europeo previsto dal trattato di Maastricht, che avrebbe funzionato solo sul piano della creazione di una moneta “forte” (come è oggi l’euro) ma avrebbe fallito sul piano della costruzione delle istituzioni necessarie. E poi c’è la risposta tedesca, che dà le principali responsabilità alla scarsa diligenza fiscale dei paesi periferici, che hanno continuato nella loro tradizione di scarso rigore nei conti pubblici.
foto: ANDREAS SOLARO/AFP/Getty Images