Il caso delle protesi al seno pericolose
Contengono silicone per uso industriale, si rompono più facilmente: il capo dell'azienda francese che le produce da oggi è ricercato dall'Interpol
L’Interpol ha emesso un mandato d’arresto per Jean-Claude Mas, il fondatore dell’azienda francese PIP (Poly Implant Prothese), responsabile di aver fabbricato delle protesi al seno con silicone destinato a uso agricolo, elettrico e per la produzione di materassi, ma non adatto a venire impiantato nel corpo umano. Sul sito dell’Interpol si legge che Mas è ricercato dalle autorità della Costa Rica per aver messo a rischio “la vita e la salute” delle persone, ma non ci sono ulteriori dettagli. Un avvocato della PIP ha detto all’agenzia Reuters che al momento Mas si trova nella Francia sud-orientale, dove ha intenzione di rimanere. La PIP è stata chiusa nel 2010 in seguito alla scoperta dell’utilizzo di silicone scadente. Produceva oltre 100mila protesi all’anno, ne esportava l’80 per cento, perlopiù in America Latina, ed era conosciuta per il buon rapporto tra la qualità e il prezzo dei prodotti.
Dalla scorsa settimana la PIP si trova al centro di numerose polemiche dopo che in Francia otto donne con protesi PIP hanno denunciato un tumore al seno. Vista la scarsa qualità delle protesi molte persone si sono allarmate, temendo che potessero aumentare le possibilità di sviluppare un tumore. Venerdì il ministro della salute francese Xavier Bertrand ha detto che le donne con protesi PIP «non corrono un rischio più alto di cancro rispetto a quelle che hanno protesi di altre marche» ma ha avvisato che il rischio di rottura delle PIP è più alto, che il silicone potrebbe fuoriuscire causando irritazioni e per questo ha invitato le pazienti a rimuovere le protesi come misura preventiva, anche se “non urgente”. In Francia le donne ad avere una protesi PIP sono circa 30mila e la percentuale di rottura è al 5 per cento. Lo stato finanzierà eventuali nuovi impianti solo nei casi in cui l’operazione era stata fatta per motivi di salute; le donne che non vorranno rimuovere le protesi avranno diritto a sei mesi di ecografie al seno a carico dello stato.
L’agenzia che si occupa della regolamentazione delle medicine in Regno Unito ha sottolineato che non c’è alcun rapporto tra il cancro e le protesi e che non è necessario rimuoverle, invitando le pazienti a rivolgersi al loro chirurgo in caso di dubbi. In Regno Unito le donne con protesi PIP sono oltre 40mila; più di 270 di loro hanno intenzione di fare causa alle cliniche in cui sono state operate.
In Italia le donne con protesi PIP sono circa 4.000. Il ministro della Salute Renato Balduzzi è intervenuto sul tema riferendo quanto deciso dal Consiglio superiore di sanità e ribadendo quanto già affermato in Regno Unito: le protesi PIP, che sono vietate in Italia dall’aprile 2010, non sono cancerogene ma possono rompersi più facilmente causando infiammazioni. Le donne sono invitate a rivolgersi al loro chirurgo mentre le cliniche che hanno impiantato protesi PIP sono state invitate a contattare le loro pazienti. Il ministro ha anche deciso di emettere un’ordinanza che obbliga le strutture che hanno impiantato queste protesi a notificare all’autorità sanitaria regionale i dati relativi agli interventi, che secondo le prime stime sono circa il 3-4 per cento del totale. Nel frattempo i NAS stanno facendo delle verifiche per rintracciare i centri e gli specialisti che potrebbero aver acquistato protesi PIP. Sul sito del ministero della Salute si legge che il servizio sanitario nazionale “si farà carico degli interventi medico/chirurgici laddove vi sia indicazione clinica specifica”. Il Corriere della Sera riporta che il servizio pubblico rimborserà gli eventuali re-impianti “legati a problemi di salute, dunque ricostruzioni per carcinoma alla mammella”.
Foto: ERIC ESTRADE/AFP/Getty Images