I centri commerciali uccidono i piccoli negozi?
No, a guardare i numeri: tra il 2000 e il 2010 il numero delle piccole botteghe è cresciuto del 6,1 per cento, racconta il Corriere della Sera
Antonella Baccaro sul Corriere della Sera di oggi discute della veridicità di una tesi che si sente ripetere da molti anni, che attribuisce ai centri commerciali la ragione della sofferenza e dei fallimenti dei piccoli negozi. A guardare le cifre, la realtà è un po’ diversa.
È tempo di bilanci per la Grande Distribuzione: quello del 2011 rischia di essere uno dei più difficili degli ultimi dieci anni, a causa della crisi che ha determinato un calo delle vendite pari allo 0,7% dall’inizio dell’anno. E adesso si punta tutto sul Natale, anche se la manovra appena varata non lascia sperare in una ripresa dei consumi, nemmeno durante le festività.
Liberi esercizi
È il caso di ricordare che, nel frattempo, in tema di commercio il governo Monti ha introdotto importanti novità: è stata estesa a tutti gli esercizi commerciali, siti in tutto il territorio nazionale, la libertà di non rispettare gli obblighi degli orari di apertura e di chiusura, della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale. Inoltre è stata sancita la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingentamenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali. Alle Regioni e agli enti locali sono stati concessi 90 giorni per adeguare i propri ordinamenti alle nuove prescrizioni.Dopo la «lenzuolata»
Ma, in attesa che gli effetti di queste novità si rendano visibili, è possibile tracciare un altro bilancio, quello della precedente riforma, varata ormai 13 anni fa, dall’allora ministro del Commercio, Pierluigi Bersani. Si è poi davvero realizzata la tanto paventata desertificazione, quell’effetto svuotamento delle città tutta a favore dei grandi esercizi commerciali? Sul punto offre una risposta abbastanza sorprendente la ricerca condotta da TradeLab per Federdistribuzione, l’organismo che rappresenta quella che viene chiamata, con termine un po’ antico, la Distribuzione Moderna. «Sia per la componente alimentare che per quella non alimentare — spiega Luca Pellegrini, presidente di TradeLab — la modernizzazione della rete distributiva non ha portato a una riduzione del numero di punti vendita disponibili per il consumatore».Più precisamente, fra il 2000 e il 2010, i punti vendita in sede fissa nel loro complesso sono passati da 721 mila a 776 mila (+7,7%). Ad essi si possono aggiungere 171 mila esercizi ambulanti (erano 156 mila circa nel 2004). Quanto ai punti vendita tradizionali, nel decennio, segnano un aumento in numero del 6,1%, a fronte di un aumento del 34,7% della grande distribuzione. Certo il trend di sviluppo è ben diverso, ma «in ogni caso — osserva Pellegrini — non c’è quell’arretramento del numero dei negozi tradizionali che ci si sarebbe aspettato». L’unica differenza è, semmai, che nel biennio in cui la crisi è cominciata, il 2008-2009, è iniziata una contrazione del numero dei punti vendita tradizionali: dai 728 mila del 2007 ai 723 mila del 2008 e 719.300 dell’anno successivo, mentre per la grande distribuzione la svolta negativa non c’è ancora stata.