Pier Vittorio Tondelli e quelli del ’77
Morì vent'anni fa oggi lo scrittore di una generazione, che venne definito "luridamente blasfemo" e che scriveva come parlava
Pier Vittorio Tondelli era lo scrittore simbolo della generazione del Settantasette, quella della rivoluzione antiborghese e della nuova musica, quella delle femministe e degli omosessuali e morì a trentasei anni di Aids, il 16 dicembre 1991. Nel 1980, lo racconta oggi Marco Belpoliti, pubblicò il suo primo romanzo, Altri libertini: fu sequestrato dopo venti giorni dall’uscita (e già alla terza ristampa) per oscenità e oltraggio della morale pubblica (“luridamente blasfemo” fu la sentenza). A partire da questo primo lavoro, nel giro di dieci anni uscirono gli altri: «Pao Pao», «Rimini», «Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni Ottanta», «Camere separate».
“Si era davvero troppo ingenui per non chiedersi come mai si facessero battaglie per liberare tutto e tutti, gli analfabeti e i disperati delle favelas, il popolo cileno e quello delle borgate romane, e non ci fosse una parola, nemmeno una giaculatoria, per liberare da quell’insopportabile e devastante peso un ragazzino di sedici anni travolto interiormente dalla propria diversità: potevano liberarsi i popoli e gli stati, si poteva proclamare la rivoluzione permanente, ma sempre purché si fosse al di là dell’oceano. Quanto a noi, nessuna liberazione interiore, nessuna rivoluzione in nome della felicità. E il Medioevo trionfava, sotto la cintura”.
(in «Carlo Coccioli» da «L’Abbandono. Racconti dagli anni Ottanta», Bompiani)
Tondelli era nato a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, il 14 settembre 1955 tra «gente ordinaria, gente comune, gente che batte le strade provinciali e comunali, gente lontana dalla cronaca e dal pettegolezzo». Nella biblioteca di Correggio (quella con «il custode perennemente con il toscano biascicato in bocca e terribile nei confronti di noi bambini visti sempre come rompiballe») chiedeva in prestito i libri di avventura, «Le tigri di Monpracem» di Salgari e «La primula rossa» della baronessa Orczy. Ascoltava Lucio Battisti e al liceo lavorò a una riduzione teatrale del Piccolo Principe firmandosi Vicky, come lo chiamavano tutti.
“Molto spesso non siamo affatto noi a scegliere le nostre letture, i nostri dischi o i nostri amori, ma sono gli accadimenti stessi che vengono a noi in un particolare momento, e quello sarà l’attimo perfetto, facilissimo e inevitabile: sentiremo un richiamo e non potremo far altro che obbedire”.
(in «Fenomenologia dell’abbandono» da «L’Abbandono. Racconti dagli anni Ottanta», Bompiani)
Negli anni Settanta cambiò decisamente colonna sonora. «Battisti lo si abbandonò, verso il 1977, non perché le sue canzoni non piacessero, ma forse perché si era cresciuti e già era il tempo di Francesco Guccini, di Francesco De Gregori, di Antonello Venditti, degli Inti Illimani e bene o male, si era passati attraverso l’ineguagliabile esperienza radiofonica di Per voi giovani», la trasmissione su Radio2 di musica rock inizialmente condotta da Renzo Arbore. Tondelli si iscrisse al Dams di Bologna dove frequentò i corsi di Gianni Celati e di Umberto Eco (con il quale quasi litigò a proposito di una tesina sulla cultura del vino).
Scrisse il suo primo romanzo che portò ad Aldo Tagliaferri, editor della Feltrinelli, dalla cui riscrittura nacque il libro d’esordio «Altri libertini», che racconta storie di giovani, viaggi, musica, droga e omosessualità. La fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta furono per Tondelli quelli delle filosofie orientali, della lettura di Lotta Continua, delle collaborazioni a quotidiani e riviste (L’Espresso, Il Corriere della sera, Rockstar e Linus) e quelli dei progetti per giovani scrittori (Under 25). L’ultimo articolo di Tondelli venne pubblicato il 18 agosto del 1991 su il Manifesto.
Fu la ricerca di un nuovo linguaggio che lo rese così amato dalla sua generazione. Quello che Tondelli voleva era riprodurre il «sound e l’emozione del linguaggio parlato». E sperimentò i generi “di consumo” con una lingua piena di luoghi comuni e banalizzazioni, soprattutto in «Rimini» dell’85, la cui presentazione nel salotto di Pippo Baudo a Domenica in venne cancellata.
“Solo questo vi voglio dire credete a me lettori cari.
Bando a isterismi, depressioni scoglionature e smaronamenti.
Cercatevi il vostro odore eppoi ci saran fortune e buoni fulmini sulla strada.
Non ha importanza alcuna se sarà di sabbia del deserto o di montagne rocciose, fossanche quello dell’incenso giù
nell’India o quello un po’ più forte, tibetano o nepalese.
No, sarà pure l’odore dell’arcobaleno e del pentolino pieno d’ori
degli aquiloni bimbi miei, degli uccelletti, dei boschi verdi con in mezzo ruscelletti
gai e cinguettanti, delle giungle, sarà l’odore delle paludi, dei canneti, dei venti sui ghiacciai, saranno gli odori
delle bettole di Marrakesh o delle fumerie di Istambul, ah buoni davvero buoni odori in verità, ma saran pur sempre i vostri odori e allora via, alla faccia di tutti avanti!”(in «Altri libertini», Feltrinelli)
Raccontò le grandi città europee e Bologna, parlò della diversità e dell’emarginazione spinto da una vera e propria funzione pedagogica. Scrivendo a Wanda Gherpelli, maestra elementare di Correggio, diceva: «Tu non lo crederai ma, che lo abbia voluto o meno, ho fatto del bene e portato a molti “emarginati” che mi hanno scritto e cercato in tutti questi anni la forza di cercare un riscatto umano, la volontà di essere se stessi al di là dei giudizi della gente».