Nove anni in Iraq
Le foto e la storia della guerra che finisce oggi, almeno ufficialmente
Oggi, 15 dicembre 2011, termina ufficialmente la guerra in Iraq. La guerra in Iraq iniziò il 20 marzo 2003 con l’invasione del paese da parte di una “coalizione di volenterosi”, come la definì l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, formata soprattutto dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, e con contingenti minori di altri stati tra cui l’Australia, la Polonia, la Spagna e l’Italia. L’intervento veniva giustificato sulla base di una dottrina che passerà alla storia come “guerra preventiva”: la dittatura di Saddam Hussein era accusata di nascondere e sostenere militanti di al Qaida e di possedere armi di distruzione di massa, e rappresentare quindi una minaccia concreta per l’umanità.
La decisione di entrare in guerra fu accompagnata da innumerevoli polemiche in tutto il mondo. L’Iraq non soddisfaceva tutte le richieste degli ispettori dell’ONU, contribuendo ad alimentare un clima di sospetto nei suoi confronti, ma oggi sappiamo che non saranno mai trovate armi di distruzione di massa in quantità tali da poter rappresentare una concreta minaccia. L’ONU si rifiutò di appoggiare l’intervento militare, anche Francia e Germania decisero di non intervenire. Gran parte dell’opinione pubblica era contraria al conflitto. Si diffuse moltissimo la visione della guerra in Iraq come guerra per il petrolio, anche rifiutandone qualsiasi possibile implicazione umanitaria, come la volontà più volte dichiarata dall’amministrazione Bush di rovesciare un regime violento e tirannico per instaurare al suo posto una democrazia (“esportare la democrazia” è un’altra espressione che dall’inizio della guerra in Iraq è entrata nel linguaggio collettivo).
Anche in Italia ci furono numerose manifestazioni contro l’invasione da parte dell’opinione pubblica e una convinta contrarietà da parte delle forze di opposizione, ma il governo di Silvio Berlusconi decise di partecipare alla “coalizione di volenterosi”. I soldati italiani non parteciparono mai alle operazioni militari ma si limitarono a fornire appoggio logistico all’invasione e poi vennero impiegati in missioni di peace-keeping. Gran parte del contingente era stanziato a Nassiriya, una zona a maggioranza sciita e relativamente tranquilla. Il 12 novembre del 2003 la base fu colpita da un attentato suicida durante il quale morirono 23 persone, tra cui 19 italiani. Sempre a Nassiriya il 6 aprile 2004 ci fu un duro scontro durato cinque ore tra i soldati italiani e i miliziani sciiti dell’Esercito del Mahdi: 4 soldati italiani rimasero feriti e 15 iracheni morirono. Nel 2006 morirono altri cinque soldati italiani a causa di scontri e attentati. All’inizio del 2006 il governo Berlusconi aveva annunciato l’intenzione di ritirare le truppe dall’Iraq, e il 2 dicembre dello stesso anno il ritiro fu portato a compimento dal governo Prodi, che nel frattempo aveva vinto le elezioni.
La prima fase del conflitto – l’operazione si chiamava Iraqi Freedom – vide impiegati 248mila soldati americani, 45mila britannici, 2000 australiani e quasi 200 polacchi. Fu molto rapida: il 9 aprile le forze della coalizione conquistarono Baghdad mettendo in fuga Saddam e i suoi sostenitori del partito Ba’ath. L’evento simbolico di quella giornata fu l’abbattimento di una statua di Saddam in Piazza Firdos: le immagini fecero il giro del mondo e divennero subito il simbolo della liberazione dell’Iraq – un simbolo piuttosto “confezionato”, come oggi sappiamo.
(La volta che venne giù la statua di Saddam)
La fase iniziale del conflitto si concluse il 15 aprile 2003 con la caduta di Tikrit, la città natale di Saddam. In questa fase morirono 9.200 combattenti iracheni, 7.299 civili, 139 soldati americani e 33 britannici. Il 21 aprile venne istituita l’Autorità provvisoria della coalizione (CPA), di fatto un vero e proprio governo che si stabilì nella Green Zone fino a giugno 2004. Il primo maggio Bush visitò la portaerei Abraham Lincoln, che aveva combattuto in Iraq e si trovava a pochi chilometri da San Diego, in California, e tenne il famoso discorso in cui annunciava la vittoria sulle truppe irachene mentre alle spalle sventolava uno striscione con scritto Mission Accomplished, “Missione compiuta”. Un’immagine che lo perseguiterà negli anni a venire. Da quel momento gli attacchi terroristici contro le truppe della coalizione si intensificarono, e iniziarono anche scontri sanguinosi tra le diverse etnie e religioni del Paese, in particolare tra i sunniti – fino a quel momento la minoranza al potere – e gli sciiti, maggioritari nel paese ma oppressi dal governo.
Il 13 dicembre 2003 le truppe della coalizione catturarono Saddam Hussein in un bunker sotto terra vicino a Tikrit, ma la situazione non si placò, anzi divenne particolarmente drammatica dal 2004 al 2006: gli attacchi terroristici contro i soldati e la guerra civile tra le diverse fazioni nel Paese si moltiplicarono e si rafforzò la costola irachena di al Qaida, guidata da al-Zarqawi. La situazione era sfuggita di mano agli Stati Uniti ed era sempre più lontana dal quadro descritto da George W. Bush nel maggio del 2003. A novembre 2004 si svolse la cosiddetta seconda battaglia di Falluja, che durò 46 giorni e fu una delle più tremende della guerra: in quell’occasione i soldati americani che morirono furono 95, mentre i caduti tra i ribelli iracheni furono circa 1.350. Sempre nel 2004, in aprile, scoppiò lo scandalo delle torture di Abu Ghraib, che venivano praticate da soldati statunitensi contro prigionieri iracheni.
Il 31 gennaio 2005 venne eletto il governo di transizione iracheno, con il compito di stilare la costituzione. Dopo qualche mese di relativa tregua, a maggio gli attacchi suicidi ripresero con straordinaria intensità: soltanto in quel mese morirono 700 civili iracheni e 79 soldati americani. La costituzione venne ratificata a ottobre con un referendum, a dicembre fu eletta l’assemblea nazionale e Nuri al-Maliki divenne primo ministro. A giugno 2006 fu ucciso al-Zarqawi mentre il 30 dicembre 2006 venne impiccato Saddam Hussein, giudicato colpevole di crimini contro l’umanità da una corte irachena.
Nel 2007 la situazione cambiò, e iniziò la lenta normalizzazione della situazione irachena. La svolta si ebbe grazie al cosiddetto surge – un significativo aumento del numero di soldati sul campo – e a una nuova strategia affidata al generale David Petraeus, basata su un maggiore coinvolgimento della popolazione, così da guadagnarne collaborazione e fiducia, anche a costo di esporre le truppe a maggiori rischi.
Da quel momento gli attacchi contro le truppe della coalizione diminuirono notevolmente: secondo il dipartimento della Difesa americano, a dicembre 2008 il livello generale di violenza in Iraq era sceso dell’80 per cento rispetto a dicembre 2007, prima dell’inizio del surge, e il tasso di omicidi nel paese era sceso ai livelli precedenti al conflitto. Secondo l’organizzazione no profit Brookings Institution, i civili iracheni morti a novembre 2008 erano 490 contro i 3.500 di gennaio 2007, mentre gli attacchi ai soldati della coalizione erano scesi a 200-300 alla settimana contro i 1.600 dell’estate del 2007.
La richiesta dell’opinione pubblica statunitense per un ritiro dall’Iraq continuava però a essere pressante, per via del contemporaneo complicarsi del conflitto in Afghanistan e per l’emersione dei primi segnali di difficoltà economica globale. Nel dicembre del 2008 venne sancito dal governo iracheno e quello americano un piano per il ritiro delle truppe. L’accordo stabiliva che tutti i soldati americani si sarebbero ritirati dal Paese entro il 31 dicembre 2011, anche se questa data poteva essere modificata di comune accordo tra i due paesi.
Il primo gennaio 2009 gli Stati Uniti diedero al governo iracheno il pieno accesso alla Green Zone e al palazzo presidenziale di Saddam, durante una cerimonia che fu descritta da al-Maliki come il ristabilimento della sovranità irachena. Nel frattempo gli Stati Uniti avevano cambiato presidente e avevano portato alla Casa Bianca Barack Obama, storico oppositore del conflitto in Iraq. Pochi mesi dopo il suo insediamento il presidente Obama annunciò che le operazioni militari americane nel Paese sarebbero finite entro il 31 agosto 2010; da quel momento in poi sarebbero rimasti in Iraq soltanto 50mila soldati impegnati ad addestrare l’esercito iracheno e a condurre operazioni antiterrorismo. Nello stesso anno, ad aprile 2009, la Gran Bretagna aveva concluso ufficialmente tutte le operazioni militari.
(Le foto dei soldati americani che lasciano l’Iraq)
Durante la guerra in Iraq sono morti 4.500 soldati americani, mentre non è ancora chiaro il numero di civili iracheni rimasti uccisi. Ci sono diverse stime, quella stilata dal progetto Iraq Body Count dice che sono state uccisi tra i 113.494 e i 122.483 civili. La guerra in Iraq è costata agli Stati Uniti oltre 800 miliardi di dollari.