George Whitman e la sua libreria
Aveva 98 anni ed è morto ieri: era il proprietario eccentrico e pittoresco della celebre libreria parigina “Shakespeare and Company”
di Mauro Bevacqua
Per lui aveva una grande ammirazione e con lui condivideva il cognome senza avere alcuna parentela: Whitman. Uno è Walt, l’altro è George. George Whitman era anche il celebre fondatore della libreria parigina in lingua inglese “Shakespeare and Company” morto ieri all’età di 98 anni compiuti da due giorni. Della libreria, della sua storia, delle sue origini e della sua leggenda, si sa quasi tutto.
La libreria era nata con il nome “Le Mistral” nel 1951. Ed era diventata “Shakespeare and Company” tredici anni dopo, nel 400esimo anniversario della nascita del Grande Bardo, prendendo il nome da un’altra celebre libreria parigina fondata da Sylvia Beach nel 1919 frequentata da Hemingway e Joyce e chiusa nel 1941. Si sa che, a sua volta, la “Shakespeare and Company” di George era divenuta il ritrovo preferito di tanti altri grandi nomi della letteratura anglosassone, dai poeti beat Burroughs, Corso e Ginsberg (è tutt’oggi gemellata con la City Lights voluta dall’amico Lawrence Ferlinghetti a San Francisco) a Henry Miller e Samuel Beckett. Il cinema, di recente, ne ha mostrato le celebri vetrine sulla Rive Gauche parigina: Woody Allen in “Midnight in Parsi” e Richard Linklater in “Prima del Tramonto” quando Ethan Hawke rivede Julie Delpy a cui aveva detto addio 9 anni e un film prima (in “Prima dell’Alba”).
Pittoresco e ricco di aneddoti almeno quanto la sua libreria, George Whitman era il proprietario della libreria, celebre per aver di fatto trasformato il 37 di Rue de la Bûcherie una casa per molta gente, aspiranti scrittori, viaggiatori o semplici spiantati in cerca di un tetto. Ricordo di averlo personalmente incrociato in negozio nei miei sporadici viaggi parigini, ma ricordo meglio le parole di un amico, Jerry, che di George è stato “ospite” per quasi 6 mesi. Dormiva, mi raccontava, al piano di sopra dove, sommersi da libri, erano piazzati una manciata di materassi (il suo appoggiato su una porta di legno stesa a terra) e veniva svegliato dal lancio del guinzaglio nel quale si esibiva lo stesso George di buon’ora, accompagnato dal comando “Walk the dog!”. La domenica, però, era diverso, perché invece del guinzaglio a svegliare Jerry era il profumo dei pancakes cucinati personalmente dal vecchio George che a lui e a tutti gli altri “tumbleweeds” (chiamava così i propri ospiti) aveva gentilmente esteso anche l’invito per la Cena di Natale a casa sua.
Non mancavano le stranezze, ovviamente, come quando decideva di tagliarsi i capelli con le fiamme di un paio di candele (magari nel mezzo di presentazioni di volumi che non lo interessavano) o come quando saliva al piano di sopra e si affacciava alla finestra per sputare sugli ospiti che intervenivano agli eventi promossi dalla sua libreria (ai più simpatici tirava i libri…). Il tutto forse anche perché, da un po’ di tempo, George non condivideva più molto il modo di gestire la sua “Shakespeare and Company”, affidata da qualche anno alla figlia. Che di nome fa, guarda un po’, Silvia Beach. E di cognome, ovviamente, Whitman. Come George e come Walt, di cui il grande vecchio parigino diceva: «Forse nessuno ha amato così tanto e odiato così poco come Whitman. E io aspiro allo stesso obiettivo».