Il massacro di Nanchino
Le foto e la storia di quello che accadde in Cina il 13 dicembre di 74 anni fa, e delle commemorazioni di oggi
Il 13 dicembre 1937, nel corso della seconda guerra tra Cina e Giappone, le truppe dell’esercito giapponese riuscirono a entrare a Nanchino, l’allora capitale della Repubblica di Cina, dopo alcuni giorni d’assedio. Incontrarono pochissima resistenza: i soldati cinesi avevano applicato, nei giorni precedenti, la strategia della “terra bruciata”, dando fuoco a quanto nei dintorni della città potesse tornare utile all’esercito rivale, tra cui campi, abitazioni e fabbriche. Di fronte alla certezza della sconfitta si era scatenato il panico, moltissimi disertarono e tentarono la fuga, si uccisero, si mischiarono ai civili rubando loro gli abiti o furono giustiziati in massa dai loro stessi comandanti.
Dal momento dell’ingresso in città le truppe giapponesi seminarono il terrore tra gli abitanti sopravvissuti ai bombardamenti: per circa sei settimane andarono avanti stupri, saccheggi, uccisioni di civili (tra cui donne e bambini) con la giustificazione che potessero essere soldati cinesi sotto copertura. Circa un terzo della città fu dato alle fiamme e nella documentazione del massacro, chiamato anche “lo stupro di Nanchino” o “il massacro di Nanchino”, compaiono foto di persone sepolte vive, impalate, cadaveri di bambini ammassati in attesa della sepoltura.
(attenzione, alcune foto contengono immagini forti)
Il numero delle vittime non è mai stato accertato con precisione: la Cina rivendica 300.000 uccisioni solo tra i civili, il Giappone riconosce un numero di vittime totali tra le 100.000 e le 200.000 (anche se alcuni storici nazionalisti hanno spesso parlato di “poche centinaia di morti”), mentre la comunità internazionale si trova abbastanza d’accordo su una cifra tra i 200.000 e i 300.000. Il documentario del 1995, Un pollice di sangue per un pollice di terra, che si basa sulle prove presentate al Processo di Tokyo, sostiene che a causa dell’invasione giapponese le vittime civili a Nanchino furono oltre 340.000.
Prima dell’occupazione della città i 22 occidentali residenti a Nanchino, guidati da John Rabe, un dirigente della Siemens, si ritirarono in una zona della città che dichiararono “zona di sicurezza”. I giapponesi cercarono di rispettare l’area, che fu largamente risparmiata da bombardamenti e violenze, durante gli scontri precedenti e successivi all’occupazione: l’imposizione della “zona di sicurezza” salvò la vita a decine di migliaia di civili cinesi, e le testimonianze degli occidentali rimasti in città furono determinanti per le condanne dei generali giapponesi responsabili del massacro.