Cameron ha fatto bene?
No, dicono quasi tutti gli analisti commentando la scelta del Regno Unito di andare per la sua strada, anche se qualche spiegazione c'è
Non sappiamo ancora se l’accordo sulla revisione dei trattati regolatori dell’UE, in direzione di una maggior integrazione economica, avrà gli effetti sperati sulla crisi dell’euro. Quello che sappiamo è che intanto questo accordo ha avuto la conseguenza di spaccare l’Unione Europea come mai era successo, a causa della mancata adesione del Regno Unito. Mentre inizialmente anche altri paesi sembravano essersi chiamati fuori, con il passare delle ore l’isolamento del Regno Unito è diventato evidente.
Il primo ministro David Cameron, che in passato si è definito “euroscettico” e ieri era partito per il vertice rilasciando dichiarazioni battagliere, ha detto che non è preoccupato della separazione, e che il Regno Unito ha fatto bene a scegliere di stare fuori dall’unione monetaria e dall’area di Schengen (quella che garantisce libertà di movimento alle persone). Cameron ha aggiunto che il mercato unico europeo non subirà cambiamenti, e che i paesi della zona euro devono risolvere i loro problemi in modo da assicurare stabilità e crescita a tutta l’Europa.
Al di là della sicurezza ostentata e del possibile sostegno in patria per una mossa che salvaguardi i margini di autonomia economica e legislativa del Regno Unito, però, la decisione di Cameron ha molte controindicazioni di ordine politico ed economico, e pochissimi commentatori hanno espresso un giudizio positivo sulla sua scelta.
Perché Cameron ha sbagliato
La gran parte dei commentatori ha detto che il rifiuto di David Cameron è stato un errore, e che le conseguenze non possono che essere un maggior isolamento internazionale del Regno Unito e una maggior incertezza politica nella stessa alleanza di governo: come ha scritto il commentatore politico Nick Robinson della BBC, la mossa di Cameron porterà a litigi con gli altri paesi europei (alcuni diplomatici raccontano che Cameron stesse argomentando durante il vertice che chi firmerà il nuovo patto non potrà usare gli edifici dell’Unione Europea) e a problemi tra l’area più euroscettica del partito conservatore (che mira a un referendum sull’appartenenza del Regno Unito all’UE) e i convinti europeisti liberaldemocratici, loro alleati al governo.
Sul piano economico, oltre il 40 per cento del commercio britannico avviene con l’Unione Europea, da cui dipendono anche circa 3 milioni di posti di lavoro. Ci sono provvedimenti che potranno essere presi senza tener conto del parere del Regno Unito e che sono potenzialmente dannosi per i mercati finanziari britannici, un settore che conta per circa il 10 per cento dell’economia del paese: tra questi, l’insistenza della Banca Centrale Europea che le transazioni finanziarie denominate in euro rimangano all’interno dell’area della moneta unica (un punto su cui il Regno Unito si sta già scontrando duramente con la BCE). Una tassa sulle transazioni finanziarie non potrebbe comunque essere approvata dall’Unione, dato che in materia di tassazione è richiesta l’unanimità, ma a parte questo Cameron sembra avere pochi risultati concreti da pubblicizzare.
Le ragioni di Cameron
Il processo che ha portato alla mancata adesione del Regno Unito al nuovo accordo è chiaro: Cameron ha presentato una serie di condizioni all’adesione del suo paese, che si concentravano soprattutto intorno a un potere di veto sui regolamenti che riguardassero il settore finanziario. Il governo britannico ha maturato la convinzione che la Commissione Europea, di solito estremamente liberista nelle sue politiche, sia eccessivamente influenzata dal Commissario europeo per il mercato interno, il francese Michel Barnier. Quando le richieste britanniche non sono state accettate, Cameron si è chiamato fuori dal nuovo accordo.
Ma nel complesso, sostengono molti commentatori anche nel Regno Unito, “il beneficio per il Regno Unito del negoziato a Bruxelles è tutt’altro che chiaro”, come dice l’Economist. L’Europa ha una ormai consolidata abitudine a prendere decisioni: lo strappo di Cameron finirà quindi probabilmente per danneggiare il paese che “si è chiamato fuori nel momento del bisogno” (un’altra delle espressioni che circola sui mezzi di comunicazione), e i prossimi accordi potranno scavalcare più facilmente il diritto di veto che ancora il Regno Unito può far valere nell’UE per difendere i propri interessi.
Il dissenso di fondo, spiega Stephanie Flanders della BBC, era sul modo migliore di ottenere un mercato unico europeo competitivo e efficiente: il Regno Unito, forte della solidità del suo settore finanziario, sostiene da tempo la necessità di lasciare il più possibile autonomi i diversi stati membri, con le autorità centrali che si limitano a garatire regole uguali per tutti. Il resto dell’Europa, ieri notte, ha invece deciso per una maggiore integrazione e regolamentazione comune. La rottura era prevedibile da lungo tempo, ma non era scontata, dato che la Germania ha a lungo cercato di tenere il Regno Unito all’interno dell’Unione Europea per non eliminare dai giochi una delle più grandi economie europee, e quella con l’orientamento maggiormente favorevole al libero mercato. Ma, come spiega un altro commento dell’Economist, spesso è stato lo stesso governo britannico a volersi ritagliare uno spazio antagonista, in contrapposizione con le politiche portate avanti dagli altri paesi e in primo luogo dalla Francia, uno dei paesi che esce più soddisfatto dal vertice di oggi.
foto: ERIC FEFERBERG/AFP/Getty Images