La nuova frontiera del petrolio russo
Si chiama Verkhnechonsk e si può raggiungere solo in elicottero (tempeste di neve permettendo)
La nuova frontiera dell’industria petrolifera russa ha il nome impronunciabile di Verkhnechonsk e si trova in uno dei luoghi più remoti e ostili della Terra. Per arrivarci bisogna volare fino in Siberia, avventurarsi in un viaggio in macchina attraverso la taiga e infine salire su un elicottero in direzione nord. Da Mosca ci vuole almeno un giorno di viaggio, tempeste di neve permettendo. Il Wall Street Journal racconta di che si tratta.
La Russia è un gigante energetico, con il 13 percento delle risorse petrolifere mondiali presenti nel suo territorio. La sua produzione petrolifera, che aveva rallentato con il crollo dell’Unione Sovietica, è progressivamente aumentata negli ultimi anni fino a raggiungere i 10,3 milioni di barili al giorno lo scorso ottobre. Per mantenere i livelli di produzione così alti, la Russia non ha altra scelta che non quella di espandersi verso nuovi territori nella Siberia dell’Est. Anche se la International Energy Agency (IEA) prevede che la produzione di petrolio della Russia aumenterà nei prossimi anni e poi andrà in lento declino, via via che le estrazioni dai nuovi pozzi non riusciranno a tenere il passo con l’esaurimento di quelli più vecchi.
Alcune aziende sono già lì. TNK-BP – una joint venture tra due compagnie petrolifere russe già multimiliardarie – sta estraendo petrolio da quelle zone dal 2008. Ma le difficoltà che fronteggia ogni giorno sono enormi. Il freddo è impressionante, con temperature che d’inverno possono scendere fino a -70 gradi Fahrenheit. L’insediamento umano più vicino è a quasi a 500 km e le foreste sono piene di orsi, lupi e alci. Per di più, le riserve di petrolio sono molto meno ricche di quelle di altre zone artiche ma comunque paradossalmente più accessibili.
Le riserve di Verkhnechonsk furono scoperte nel 1978, ma considerate troppo lontane per essere sfruttate. Le cose sono cambiate nel 2006, quando Mosca iniziò a costruire l’oleodotto ESPO, che avrebbe collegato quella parte della SIberia all’Asia. Albert Gilfanov, a capo del progetto, fu uno dei primi uomini mandati lì nel 2007 dalla Samotlor. «Non c’era niente qui quando arrivai, solo la taiga, è come vivere in un’isola». Vivere a Verkhnechonsk è molto difficile. L’inverno è durissimo e l’estate è piagata da moltitudini di insetti. Senza strade percorribili, gli uomini che ci vivono devono spostarsi in elicottero da Ust Kut, il luogo in cui Leon Trotsky trascorse l’esilio ai tempie degli zar.
Il petrolio che si estrae a Verkhnechonsk è incredibilmente freddo e quindi più difficile da raffinare. Per di più è molto ricco di sale e per ripulirlo c’è bisogno di grosse quantità di acqua. A tutto questo di recente si è aggiunto un nuovo problema: il governo russo, alla luce dell’aumento dei prezzi del petrolio, nel luglio del 2010 ha deciso di alzare le tasse sui produttori un anno prima del previsto. TNK-BP riuscì a immettere il suo petrolio nell’oleodotto ESPO per la prima volta nell’ottobre del 2008. La produzione ora dovrebbe aumentare fino a raggiungere i 160mila barili al giorno nel 2014, ora è a circa 100mila. Ma si tratta ancora di cifre troppo basse se paragonate a quelle che facevano all’inizio i pozzi della Siberia occidentale. Samotlor raggiunse il record di oltre tre milioni di barili di petrolio al giorno nel 1980. E anche oggi, a 46 anni dall’apertura, produce ancora cinque volte tanto la quantità prodotta da Verkhnechonsk.