La guerra dell’India con i maoisti
Chi sono e che cosa vogliono i ribelli in lotta da più di quarant'anni contro il governo: il 24 novembre è stato ucciso il loro leader
Il 24 novembre, in India, è stato ucciso Mallojula Koteshwar Rao, 55 anni, conosciuto con il nome di battaglia Kishanji. Era il leader militare del movimento maoista indiano ed è morto in uno scontro nel distretto di Purulia, nelle regioni nord orientali, durante un’operazione condotta dalla polizia e dagli agenti paramilitari. Sono almeno quarant’anni che il governo dell’India è impegnato a combattere il movimento dei ribelli nel Paese. La resistenza armata maoista si oppone al modello economico neoliberista e a politiche di industrializzazione giudicate selvagge e che, riassume lo storico Sumanta Banejee, “mirano a confiscare ettari di terre fertili, a distruggere i fiumi e a far fuggire migliaia di persone dai luoghi in cui vivono”. Se l’impatto delle insurrezioni maoiste è piccolo rispetto all’economia miliardaria dell’India, ogni successo dei ribelli è però visto come un messaggio di debolezza del controllo del governo sul territorio.
L’operazione “caccia verde”
Nell’ottobre 2009 il ministro dell’interno Palaniappan Chidambaram ha dato il via all’operazione “Green Hunt” (caccia verde) per fare fronte all’insurrezione che si è sviluppata nelle foreste al centro dell’India. L’operazione è stata e continua a essere presentata dal governo come fondamentale per la pacificazione e la lotta al terrorismo, premesse a loro volta necessarie per proseguire lungo la strada dello sviluppo economico intrapresa dal Paese.
Il corridoio degli scontri
La principale area dello scontro è la regione del Chhattisgarh, che è anche al centro di molti interessi economici perché ricchissima di risorse minerarie. Ma sono altri quattro, oltre al Chhattisgarh, gli stati chiave degli scontri: Jharkhand, Bihar, Orissa e Bengala occidentale. È in quei territori (definiti “corridoio rosso”) che il governo indiano ha inviato, all’interno dell’operazione “Green Hunt”, 40 mila paramilitari e 6 mila e cinquecento civili con funzioni speciali di polizia riuniti in una milizia chiamata “Salwa Judum” (cacciatori di pace). Il 5 luglio 2011 la Corte suprema ha dichiarato incostituzionale l’impiego della milizia e l’uso di sostituti di polizia reclutati dalle popolazioni locali, pronunciandosi a favore di un disarmo. La risposta è stata l’immediato assorbimento della milizia civile nel corpo ufficiale della polizia.
I maoisti indiani
Il movimento dei maoisti indiani, chiamato anche naxalita, è nato negli anni Sessanta dalla rivolta tribale di Naxalbari, un villaggio del Bengala Occidentale che era insorto contro i latifondisti e che diventò poi il centro dell’organizzazione ribelle. Dal 2004 il movimento si è unificato sotto il nome di Partito Comunista Indiano Maoista (Pci-m). Contro la politica economica, sociale e ambientale del governo, ha stabilito come propria pratica la lotta armata nelle zone tribali al centro dell’India, le più povere e le più colpite dal nuovo sistema economico indiano.
La versione dei maoisti e i dubbi sulla difesa degli “adivasi”
La versione dei guerriglieri e le loro posizioni si possono conoscere soprattutto attraverso il racconto che ne ha fatto la scrittrice Arundhati Roy in un reportage pubblicato a marzo 2010 su Outlook (uno dei maggiori settimanali indiani) e che, in parte, è stato ripreso in Italia dalla rivista Internazionale. La scrittrice indiana, partendo inizialmente da posizioni piuttosto critiche nei confronti dei metodi naxaliti, è arrivata alla conclusione di come la loro violenza sia necessaria e, in questo caso, difensiva: «Quando mille paramilitari sbarcano in un villaggio di notte, che fare? In che modo gli abitanti dei villaggi affamati possono scegliere lo sciopero della fame?».
I maoisti sostengono di rappresentare gli “adivasi” (abitanti delle origini), ma nella storia della loro guerriglia sarebbero numerosi gli episodi di violenza nei villaggi contro gli stessi abitanti, con l’uso di bambini e donne come scudi umani e casi di arruolamento di minorenni. L’ultimo capitolo delle repressioni subito dagli abitanti delle foreste, e che risale a ottobre 2011, spiegherebbe come in realtà la situazione sia più complessa e controversa e come molto spesso gli “adivasi” si trovino al centro di un guerra in cui subiscono ricatti e soprusi sia da parte dei maoisti che da parte della polizia.
La vicenda, che è stata raccontata dai giornali internazionali e denunciata da Amnesty International, riguarda Soni Sori, insegnante arrestata il 4 ottobre a Delhi e suo nipote Lingaram Kodopi, giornalista arrestato il 9 settembre in un villaggio di Chhattisgarh. Il padre di Soni Sori, dopo l’arresto e le violenze che la donna ha subito da parte della polizia, ha apertamente denunciato che «i Naxaliti colpiscono dalla parte anteriore e la polizia dalla parte posteriore. Quando i maoisti ci chiamano non ci resta che andare, se vogliamo vivere. Ma se andiamo sarà la polizia a non farci vivere».