Le ragioni dei “riots” di Londra
Uno studio del Guardian e della London School of Economics smonta un po' di luoghi comuni sui casini di agosto: non c'entravano le gang, né i social network
Nei primi giorni dello scorso agosto, la Gran Bretagna ha avuto seri problemi di ordine pubblico con migliaia di giovani che per diverse notti hanno devastato interi quartieri di Londra, alcune zone periferiche e altre città britanniche. Hanno distrutto arredi pubblici, dato fuoco ad automobili, assaltato negozi e compiuto razzie prima di subire una dura e inevitabile repressione da parte delle forze di polizia. Da allora numerosi sociologi e altri ricercatori hanno studiato quanto accaduto tra il 6 e il 10 agosto, cercando di comprendere quali cause abbiano portato a simili episodi di violenza. Uno degli studi più completi in materia è stato realizzato dalla London School of Economics (LSE) in collaborazione con il Guardian, che a partire da oggi pubblicherà i risultati della ricerca.
L’analisi è stata condotta raccogliendo le testimonianze di 270 persone che hanno partecipato alle sommosse di Londra, Birmingham, Liverpool, Nottingham, Manchester e Salford. Oltre ai racconti, i ricercatori hanno anche raccolto e analizzato circa 2,5 milioni di messaggi su Twitter legati ai giorni delle violenze per le strade britanniche, ottenendo una quantità di dati e informazioni senza precedenti per studiare il fenomeno.
Dalla ricerca emerge un dato su tutti: la maggior parte dei giovani ha deciso di partecipare alle sommosse per la loro forte ostilità nei confronti della polizia. Molti hanno detto di essersi uniti alle proteste violente perché esasperati dal modo in cui le forze dell’ordine si occupano delle loro comunità. Altri hanno comunque ammesso di aver partecipato per semplice opportunismo: per alcune notti c’è stato un sostanziale vuoto di potere e di controllo, che ha permesso di compiere razzie e di entrare in possesso di beni che difficilmente gli autori di simili azioni si sarebbero potuti permettere. Per molti si è trattato di una buona occasione per “ottenere roba gratis”.
(6 ragioni dei “riots” britannici)
Nei giorni delle violenze, il governo di David Cameron fu criticato – anche duramente – dall’opposizione e da parte dei mezzi di comunicazione britannici. Cameron rispose alle critiche promettendo maggiori dispiegamenti di forze e spiegando che alla base delle sommosse c’erano delle bande criminali. I ricercatori della LSE sono arrivati a conclusioni diverse: alle sommosse parteciparono alcuni membri delle gang, ma il loro apporto fu del tutto marginale.
Opinionisti e mezzi di comunicazione dissero ad agosto che buona parte delle sommosse erano organizzate attraverso i social network, con la condivisione di informazioni sui profili e le pagine di Facebook. Analizzando i dati, i ricercatori non hanno però trovato un particolare aumento dell’attività sui social network in quei giorni. È stato invece registrato un notevole aumento dell’uso dei telefoni cellulari, specialmente dei sistemi di messaggistica per scambiarsi le informazioni sui luoghi e i tempi delle razzie.
Lo studio si è anche occupato della composizione dei gruppi che hanno partecipato alle sommosse. Meno della metà degli intervistati per la ricerca erano studenti. Gli altri avevano terminato la scuola e nel 59 per cento dei casi erano disoccupati. Circa la metà degli intervistati erano di origini africane, ma i ricercatori sostengono che per come si sono evolute e svolte, le sommosse non avevano alcuna particolare connotazione razziale.
Comprendere con precisione le ragioni delle sommosse non è stato semplice perché, come abbiamo visto, in molti casi chi vi ha partecipato l’ha fatto per puro opportunismo. I ricercatori della LSE hanno comunque identificato alcuni elementi comuni come un forte senso di ingiustizia, la mancanza di denaro e le scarse opportunità di lavoro. Altri ancora, hanno deciso di partecipare perché frustrati dal loro modo di vivere, diverso da quello di chi sta meglio e ha maggiori capacità finanziarie.
Il Guardian ha anche pubblicato una animazione, che mostra efficacemente il pendolarismo dei violenti, cioè come si spostarono dalle loro aree di residenza alle zone saccheggiate nei giorni delle proteste violente.