Le proteste di Durban
Le foto della manifestazione degli ambientalisti durante la Conferenza sul clima in corso in Sudafrica: un accordo è molto lontano
Oltre 10mila persone hanno partecipato ieri alla marcia di protesta a Durban, in Sudafrica, in occasione della diciassettesima sessione delle Conferenze delle Parti (COP17), organizzata dalle Nazioni Unite nell’ambito della Convenzione sui cambiamenti climatici (UNFCCC). I manifestanti, accompagnati dal suono dei tamburi e delle vuvuzela, hanno chiesto politiche più coraggiose per l’ambiente e hanno protestato contro l’“apartheid climatico” dei paesi più ricchi, accusati di essere troppo lenti nel reagire di fronte ai cambiamenti climatici. Uno striscione di oltre 20 metri, “Unite against global change”, ha aperto il corteo organizzato dai movimenti ambientalisti sudafricani che hanno rappresentato contadini, pescatori, ambientalisti e comunità religiose fino sotto le finestre dell’International Convention Center di Durban dove si svolgono i lavori del summit.
La conferenza, intanto, è entrata nella sua fase più importante. Nelle prossime ore arriveranno ministri e responsabili politici dei paesi di tutto il mondo per provare a raggiungere, dal 6 al 9 dicembre prossimo, un accordo sul clima che tuttavia sembra molto remoto. L’Europa è il continente che sta spingendo di più per approvare almeno il rinnovo del primo protocollo di Kyoto, che scade il primo gennaio 2012 e si vorrebbe prorogare fino al 2015. Un patto che diversi paesi, tra questi gli Stati Uniti, non hanno mai accettato e che tuttavia, se rinnovato integralmente, interesserebbe solo il 15 per cento delle emissioni globali. L’altro punto fondamentale è la gestione di un “Fondo Verde” da 100 miliardi di dollari sul quale però ci sono molte divergenze, acuite dalla crisi economica che ha interessato l’Europa ma che potrebbe presto espandersi in tutto il mondo. L’Unione europea pensa che il rinnovo di Kyoto debba essere la base per un accordo sul clima molto più ampio e dettagliato a livello globale. Da parte loro, alcuni paesi ricchi come Cina, Stati Uniti, Canada, Russia e India hanno già fatto capire che molto probabilmente non sottoscriveranno grossi impegni a breve termine.
Foto: AP/Schalk van Zuydam