Che cos’è la recessione?
Cerchiamo di capire che cosa ci aspetta, intanto che allacciamo le cinture
Il 28 novembre scorso, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) ha diffuso le sue previsioni [pdf] sull’andamento dell’economia nei prossimi due anni nei principali paesi occidentali. Secondo le stime, il prodotto interno lordo (PIL) dell’Italia nel 2012 sarà inferiore a quello di quest’anno dello 0,5 per cento e tornerà positivo solamente nel 2013. La previsione ha messo ulteriormente in allarme l’area dell’euro, colpita da una dura crisi del debito pubblico, e ha fatto parlare gli analisti di una possibile fase di recessione per il nostro paese. Un timore ripreso oggi dal ministro Corrado Passera, che nel corso di un intervento agli stati generali di Confcommercio ha ipotizzato che l’Italia possa andare in «recessione per cause esterne che ci arrivano addosso». Siamo abituati a parlare di “recessione” per intendere semplicemente un momento in cui l’economia di un paese si trova in difficoltà, ma in realtà il termine ha un significato circoscritto e può essere utilizzato correttamente solo in determinate situazioni.
Che cos’è la recessione?
In linea generale, la recessione si verifica quando la capacità produttiva di un paese è inferiore a quella che lo stesso potrebbe avere usando tutti i propri fattori produttivi. La recessione è quindi l’opposto della crescita economica, cioè allo sviluppo di un paese in diversi settori con aumento della ricchezza, dei consumi, della produzione di beni e di servizi.
Quando si va in recessione?
Nel corso degli anni gli economisti hanno elaborato teorie, anche molto diverse tra loro, per stabilire quando un paese entra in recessione. Non c’è quindi un’unica risposta e molto dipende da quali indicatori economici vengono presi in considerazione. Tra i vari sistemi proposti ha riscosso un notevole successo nel 1975 quello proposto dall’economista Julius Shiskin in un articolo sul New York Times. Suggerì di considerare l’andamento del prodotto interno lordo in due trimestri consecutivi: se il dato è negativo in entrambi, allora il paese si trova in recessione.
Negli Stati Uniti viene sostanzialmente applicata questa regola e per determinare se ci sia o meno la recessione si fa principalmente affidamento sul National Bureau of Economic Research (NBER). Nel tempo il NBER ha affinato i propri sistemi di ricerca e studio sull’andamento dei cicli economici, introducendo altri fattori come i livelli di disoccupazione, quelli della produzione industriale e l’andamento delle vendite dei beni sul mercato.
L’OCSE si occupa di valutare l’andamento dell’economia nei paesi che partecipano all’Organizzazione e, di conseguenza, fornisce anche le stime sui possibili periodi di recessione. Come abbiamo visto, i suoi ultimi dati prevedono il PIL italiano a -0,5 per cento per l’anno prossimo e questo ha portato a un nuovo dibattito sulla recessione nel nostro paese. Secondo alcuni economisti, in realtà nel 2012 entreremo in una nuova fase della crisi, ma non saremo propriamente in recessione perché la variazione in negativo del PIL non arriva all’uno per cento.
Che cosa succede
Gli effetti di un periodo di recessione possono essere molteplici e molto dipende da come è strutturata l’economia del paese che si ritrova in questa condizione. Un periodo di recessione può quindi avere diversi livelli di gravità, che naturalmente influenzano anche le possibilità di uscirne bene e in tempi rapidi. Tra le conseguenze possono esserci, per esempio, un ulteriore calo dell’occupazione legato alla minore produzione, una sfiducia più forte sui mercati e quindi meno investimenti e un aumento del costo della vita.
Depressione
La depressione può essere considerato uno stato cronico di recessione. Anche in questo caso gli economisti hanno prodotto decine di teorie e di sistemi per valutare quando un paese entra in depressione. I fattori da valutare sono molti e diversi tra loro, tuttavia molti economisti concordano nel considerare due condizioni fondamentali. Si parla di depressione quando la variazione in negativo del PIL supera il dieci per cento o quando la fase di recessione dura molto a lungo, per almeno tre o quattro anni.
Come se ne esce
Anche in questo caso non c’è un’unica soluzione: molto dipende dalla gravità della recessione, dall’orientamento politico dei governi e dalle politiche economiche che vogliono applicare. In linea generale si ritiene che tra le cause ci sia un calo della domanda aggregata, cioè della richiesta di beni e servizi (lo sfruttamento della capacità produttiva di un paese). Si cerca quindi di fare leva su questo fattore per rimettere le cose a posto, riavviando l’economia.
Alcuni economisti – definiti monetaristi – spingono in genere per politiche monetarie espansive, che prevedano cioè la riduzione dei tassi di interesse così da stimolare l’offerta di denaro delle banche alle imprese per stimolare investimenti e produzione. (Non servirebbe molto all’Italia in questo momento perché le banche dispongono già di una discreta liquidità verso le imprese.) Gli economisti più vicini alle teorie keynesiane sostengono un aumento della spesa pubblica per riavviare l’economia, cosa che però fa spesso a pugni con l’indebitamento. Altri rimedi possono essere la riduzione delle imposte per incentivare gli investimenti da parte delle imprese. Trovare il giusto equilibrio non è semplice, soprattutto nell’attuale sistema economico molto interdipendente tra i vari paesi.