La vita in Libia senza Gheddafi
Il New York Times racconta come sono cambiate le cose nel paese dopo la fine della dittatura, tra caos e maggiori libertà
L’enorme piazza centrale di Tripoli, costruita durante il periodo coloniale italiano e chiamata piazza Italia per poi essere rinominata piazza Verde quando Gheddafi prese il potere, ora si chiama piazza dei Martiri. È stato uno dei luoghi più importanti della rivoluzione, ora è facile intravedervi i simboli della nuova libertà conquistata, come racconta il New York Times.
L’autoritarismo di Gheddafi ha ceduto il passo a un’idea di libertà un po’ estrema: mentre il controllo del dittatore si estendeva in buona parte della vita quotidiana, nel riprendere possesso delle proprie vite i libici hanno tradotto il concetto di libertà nella possibilità di fare ciò che si vuole, secondo alcune interviste condotte all’università di Tripoli.
La guida spericolata, considerata a torto o a ragione un tratto tipico degli abitanti del paese, è aumentata notevolmente, con una polizia ancora da riorganizzare e che interviene poco per far rispettare le regole. «Non è ancora il momento di fare multe» spiega un agente. Intanto le macchine, tappezzate di slogan, tendine parasole e adesivi, che durante il regime erano vietati, bruciano i semafori senza esitazione, e gli ospedali accolgono quotidianamente decine di vittime di incidenti stradali.
Ai fruttivendoli era proibito montare i loro banchetti lungo la maggior parte delle strade; ora affollano i marciapiedi, vendono arance e banane al bordo delle autostrade e dei sottopassaggi, si schierano a margine delle rotonde, guadagnando così abbastanza da sfamare le loro famiglie ma aumentando drammaticamente il traffico.
La città è stata riempita di scritte, cartelli e insegne in inglese, anche se la maggior parte dei libici non le possono capire: Gheddafi aveva vietato l’uso di questa lingua in contesti pubblici e per molti, oltre a un’ulteriore affermazione di libertà, è un segno fondamentale di apertura verso l’esterno. La più comune è «Libya Free», ma molte altre ringraziano la NATO per l’intervento che è stato determinante alla riuscita della rivoluzione.
Agli angoli delle strade, soprattutto nei quartieri più periferici, è diffuso il commercio di hashish e alcolici distillati in casa. Questa forma di contrabbando esisteva anche durante il regime, ma essendo vietata era molto più sotterranea. Ora, pur restando illegale, lo scambio avviene con meno cautele, davanti alle porte delle case e anche nella frequentata piazza dei Martiri.
Tripoli ha quasi due milioni di abitanti e la disorganizzazione delle forze dell’ordine, che ora il governo provvisorio sta cercando di riformare, non aiuta i cittadini a rispettare nuove regole ancora non formalizzate di rispetto e convivenza. I membri delle milizie irregolari sono ancora poco prudenti con le armi, troppo spesso partono colpi per errore o sparano volontariamente colpi in aria: ogni giorno arrivano al pronto soccorso almeno due persone con ferite da arma da fuoco.
Il crimine non è tuttavia aumentato: alcuni lamentano furti d’auto, ma nessuno si è detto preoccupato di girare per strada e i commercianti dicono di non temere i furti. Sadek Kahil, il proprietario di una gioielleria, ha spiegato la sua scelta di non avere sorveglianza: «Le persone che hanno combattuto per il loro paese non si girano dall’altra parte e vanno a svaligiare un negozio. Abbiamo dei problemi, ma tutto è possibile ora che ci siamo liberati di quell’idiota autoritario.»
Sirte, l’ultima importante città libica presa dai ribelli, città natale di Gheddafi e roccaforte del dittatore durante la guerra civile, ha riportato danni enormi negli scontri e a causa dei bombardamenti NATO. Attualmente meno del cinque per cento degli abitanti ha fatto ritorno alle proprie abitazioni, spesso distrutte, ma quelli che sono tornati si stanno dando da fare per ripristinare il funzionamento dei servizi di base, come l’acqua corrente e l’elettricità, e per ripulire la città dalle macerie.