Le 10 migliori canzoni di George Harrison
Da All things must pass a All those years ago (quella scritta per John Lennon), una playlist per ricordarlo a 10 anni dalla morte
«È buffo pensare che le mie canzoni da solista avrebbero potuto essere delle canzoni dei Beatles, se solo non ci fossimo lasciati», diceva: «per me si trattò solo di suonarle con altri musicisti». Quando Sir George Harrison si fece una casa discografica, la chiamò Dark Horse. Come me, diceva, quello su cui nessuno punterebbe un soldo, l’ultimo che ci si aspetta possa diventare un vincente. Rimase nella seconda linea dove già stava con i Beatles e non fece niente per reinventarsi. Scrisse canzoni, come prima, continuò a guadagnare montagne di soldi – mai come gli altri due – si appassionò di giardinaggio e di formula uno. Morì di cancro il 29 novembre 2001 in un ospedale della California.
All things must pass
(All things must pass, 1970)
Con i Beatles aveva scritto “Something”, che molti ritengono la più bella canzone d’amore della loro storia, altro che Yesterday-dàndàn. Aveva scritto “While my guitar gently weeps”, e “Here comes the sun”, e un’altra ventina. Ma riuscire a farsi largo era un’impresa, ché Sir George non ci aveva mai tenuto a sgomitare per se stesso. «A volte era frustrante» raccontò poi «dover far passare milioni di “Maxwell’s Silver Hammer” prima di usarne una delle mie; a pensarci adesso, ce n’erano un paio, delle mie, che erano migliori di quelle che John e Paul scrivevano con la mano sinistra. Ma le cose andavano così, sapete, e non mi dispiace particolarmente: ho solo dovuto aspettare un po’». Così Harrison metteva da parte per il futuro canzoni come questa: prima o poi dovevano pur sciogliersi, no? E il titolo sarebbe stato perfetto.
My sweet Lord
(All things must pass, 1970)
Il talento dell’uomo è sempre stato soggetto alle disavventure del destino, e qualcuno al tempo orecchiò una palese similitudine con una canzonetta di dodici anni prima, “He’s so fine” delle Chiffons. Invece di dargli un premio per averla resa un capolavoro, un giudice lo condannò a pagare mezzo milione di danni. Per lui si trattò di un tradimento: i diritti erano stati nel frattempo acquistati da un suo scaltro ex agente, che dopo averlo difeso pubblicamente passò a riscuotere. “Mio dolce signore, muoio dalla voglia di vederti e di conoscerti, di venire con te, ma ci vuole così tanto, signore, alleluja, hare krishna, hare rama”. Comunque, “My sweet Lord” arrivò al numero uno che ancora gli altri Beatles stavano riposandosi al sole o organizzando conferenze stampa a letto. Volendo, somiglia anche a “Oh happy day”, la canzone del panettone, che Harrison ha sempre citato come riferimento.
What is life
(All things must pass, 1970)
Harrison la scrisse per Billy Preston, ma gli venne così bene – e così rock – che se la tenne per sé.
Give me love
(Living in the material world, 1973)
«A volte apri la bocca e non sai cosa stai per dire, e da quel che dirai nascerà qualcosa. Se capita e hai fortuna, quel qualcosa diventa una canzone. Questa canzone è una preghiera ma anche un accordo privato tra me, il Signore, e chiunque voglia» (George Harrison, nella sua biografia I me mine).
You
(Extra texture, 1975)
Grande invenzione di uno che faceva quello che gli pareva, e buttò giù una canzonetta pop estiva e trascinante, fatta quasi solo di pronomi. Roba da mettere allegria a un interista.
This song
(Thirty three & 1/3, 1976)
“Questa canzone è senza trucchi”, è il verso d’apertura del singolo “This song”, che prende in giro la vicenda giudiziaria che aveva riguardato “My sweet lord”. Il titolo dell’album, oltre a citare la cifra un tempo familiare della velocità dei 33 giri, era l’età di Harrison quando il disco uscì.
Blow away
(George Harrison, 1979)
Se ne andò in vacanza tre anni, si risposò, fece un bambino, e quando uscì il suo nuovo singolo, si capì che era di buonumore: “All I’ve got to do is to love you, all I’ve got to be is be happy”.
Love comes to everyone
(George Harrison, 1979)
Per non lasciare dubbi, lo stesso LP di “Blow away” si apriva con l’informazione che “l’amore arriva per tutti”. Con la collaborazione di Eric Clapton alla chitarra, che l’avrebbe incisa in un suo disco venticinque anni dopo.
Here comes the moon
(George Harrison, 1979)
Dell’arrivo del sole, si era già detto a suo tempo.
All those years ago
(Somewhere in England, 1981)
“Li disegnavi tu, i nostri sorrisi e le nostre lacrime”. Dedicata a John Lennon, pensata prima, ma completata qualche mese dopo Dakota House, e incisa col contributo di Ringo Starr, Paul e Linda McCartney.