I libri di Occupy Wall Street
Sono andati in gran parte perduti nello sgombero di Zuccotti Park, e i bibliotecari chiedono aiuto, o si commuovono
di Andrea Salvadore
In questi giorni Zuccotti Park , a New York, è tornato ad essere quello che era. Chiamare parco questa piccola piazza semideserta con brutte panchine di cemento marmorizzate e aiuole fiorite è una bella iperbole.
Su una delle panchine ho trovato in questo fine settimana Hristo, uno dei bibliotecari volontari di Occupy Wall Street. Un nuovo cartello scritto a mano come più di due mesi fa e così è rinata la People’s library del movimento. Hristo accettava donazioni (in libri) e e aveva raccolto un bel mucchietto di carta stampata su una panchina.
Intorno non c’erano molti altri segni di quello che questa piazza ha rappresentato dal 17 settembre in poi. Isolati cartelli, un cordone di polizia attorno, transenne, curiosi. Ma la biblioteca che risorge da l’idea di una cosa che ha radici oltre questo sedicente parco. E che riassume la storia di quello che è stato e, forse, di quello che sarà.
Un movimento che è nato da un’idea di una organizzazione canadese, con un manifesto di una ballerina issata sul toro di Wall Street, su un piede, una gamba, soli, è un movimento stravagante, in equilibrio precario. Di cinguettio in cinguettio, di post in post, Occupy Wall Street ha contagiato l’America e oltre, rimescolando e adattando una simbologia complessa perché derivata da piazze difformi, che parlavano arabo e spagnolo. Un movimento in equilibrio fatto di simboli (come gli aeroplanini di carta che sono stati lanciati contro le sedi centrali delle banche d’affari di New York) e di piccoli numeri, facilmente attaccabile quindi ma non facilmente liquidabile perché virale, liquido, immateriale, che vive di contagio, di YouTube e di simboli, appunto.
L’avevo capito una volta di più questa vigilia di Thanksgiving a New York, quando ero salito al ventesimo piano di 260 Madison Avenue, a mezzogiorno. Nella sala riunioni di uno studio legale era convocata una conferenza stampa dei bibliotecari di Occupy Wall Street. La People’s Library è contenuta in scatole di cartone, divise per materie, in cui ero andato a curiosare più volte a Zuccotti Park. Non immaginavo che i libri fossero tutti catalogati per titolo ed autore. Vedevo però sempre un responsabile di quel luogo attrezzato con sedie, a cui ho rivolto domande in giorni diversi. Mi avevano spiegato che la biblioteca era il risultato di donazioni e che molti di quelli che portavano i loro libri da casa si raccomandavano di trattarli bene perché avevano accompagnato un pezzo della loro vita. Non pochi venivano dagli stessi autori, con dediche, consigli, avvisi, scritti a penna nelle prime pagine.
Ora un pezzo di quella collezione giaceva sul lungo tavolo delle riunioni dello studio legale. E intorno giornalisti, cameramen, come in una camera ardente in visita al parente perduto. E il paragone non è strambo perché nel corso della conferenza stampa sono scese lacrime. Di chi raccontava e di chi ascoltava. Hanno parlato tutti i bibliotecari part time di Zuccotti Park. Wiliam, il professore venuto da Pittsburgh, Daniel, lo studente dal Maine, Mandy, la bibliotecaria professionista di New York e quelli e quelle che il mestiere lo hanno imparato nei due mesi di occupazione.
Ci hanno detto che degli oltre 4000 libri portati via nello sgombero della notte del 15 novembre solo 869 sono ancora usabili, corpi sani. Tutti gli altri sono persi o conciati male, come molti di quelli che si trovavano sdraiati sul tavolo-conferenze attorno a cui eravamo pigiati. Dalla conferenza stampa è partita allora una richiesta, simbolica ma non tanto, appoggiata sul Primo Emendamento alla Costituzione americana, quello che tutela tutte le libertà, di parola, religione, della stampa, insomma l’emendamento che sorregge tutta l’impalcatura. La richiesta è fatta direttamente al sindaco Bloomberg, di riavere tutti i libri mancanti, di cui c’è l’elenco preciso. Compreso “Bloomberg by Bloomberg”, l’autobiografia, che non si trova più. Nessuna richiesta di denaro o danni. Solo i libri buttati, dispersi, trattati male. E proprio quelli, non altri a caso. Da restituire tutti alla biblioteca del popolo di Zuccotti Park. Che avrà bisogno di uno spazio (altra richiesta).
Nel corso dello sgombero un custode dei libri lesse poesie ad alta voce ai poliziotti che si sarebbero fermati ad ascoltare, ci ha detto poi Scott. Senza però tirare fuori adesso i roghi dei libri nella storia, che ci si mette un secondo a scrivere cose ridicole. Però io, vari anni fa, sono stato bibliotecario a Brera, Milano, per non poco tempo. Così, tanto per dire, perché mi sono commosso, penso.