Guida alle elezioni in Marocco
Domani si avranno i risultati delle prime elezioni legislative del Marocco dopo le riforme costituzionali di re Mohamed VI: favoriti gli islamisti moderati
Si sono chiusi in serata i seggi per le prime elezioni legislative in Marocco dopo le riforme costituzionali decise da re Mohamed VI e confermate con un referendum, a luglio di quest’anno, da oltre il 90 per cento degli aventi diritto al voto. I risultati sono attesi tra domani e domenica. Il Marocco ottenne il riconoscimento franco-spagnolo dell’indipendenza nel 1956 e venne instaurata una Monarchia Costituzionale con a capo Mohamed V. Le riforme avanzate quest’anno da Mohamed VI, e sulle quali hanno avuto certamente un’influenza le proteste della Primavera araba, prevedono un ampliamento dei poteri del primo ministro e del parlamento e limitano (almeno formalmente) quelli del sovrano cancellandone la «sacralità». Subito dopo l’annuncio delle riforme, il 20 febbraio scorso 10 mila persone avevano marciato pacificamente a Rabat e altrettante in molte altre città del Paese denunciando il fatto che si trattava semplicemente di una manovra di facciata.
Il “Movimento del 20 febbraio” (nato da quella prima manifestazione) aveva portato avanti l’azione di protesta anche nei mesi successivi e fino alla vigilia delle elezioni di oggi. Ieri a Rabat e a Casablanca si sono svolte per tutto il giorno manifestazioni in cui si invitavano i marocchini a boicottare il voto. Accanto al “Movimento del 20 febbraio” c’erano i movimenti giovanili, gli attivisti di sinistra e alcuni politici di “Giustizia e Carità”, partito islamico fuorilegge: «Ci garantiscono che quest’anno non ci sarà corruzione, che tutto sarà trasparente e credibile, che tutto andrà bene sugli autobus e sui marciapiedi, per non parlare delle università, delle scuole, degli ospedali». Per i manifestanti che hanno occupato le piazze la nuova Costituzione «non è democratica» e già si preparano a una grande mobilitazione per il 4 dicembre: la «giornata della collera nazionale».
La riforma costituzionale approvata a luglio prevede che il re possa decidere di scogliere il Parlamento e che sia lui a scegliere, all’interno del partito che risulterà vincitore alle elezioni, il capo del governo. Le nuove regole prevedono anche una “quota rosa”, con un minimo di 60 deputate, e 30 seggi riservati a candidati con età inferiore ai 35 anni. In realtà il quadro politico che si è presentato alle elezioni di oggi è lo stesso che negli scorsi anni è stato messo sotto accusa per la dilagante corruzione, per l’inefficacia delle riforme (il livello di disoccupazione dei trentenni marocchini è del 31 per cento) e per la mancanza di libertà: secondo un rapporto di Human Right Watch, organizzazione non governativa con sede a New York che si occupa della difesa dei diritti umani, da ottobre ad oggi in Marocco sono state fermate durante le proteste più di cento persone e molti giornali indipendenti sono stati chiusi.
Oggi oltre 13 milioni di marocchini sono stati chiamati alle urne per scegliere tra 33 formazioni politiche. Nonostante i sondaggi siano stati vietati nelle due settimane precedenti al voto, gli analisti davano per favoriti gli islamisti moderati del PJD, il partito “Giustizia e sviluppo” all’opposizione con 47 seggi su 395 il cui leader è Abdellah Benkirane. I principali avversari del PJD sono i nazionalisti dell’Istiqlal, partito del primo ministro Abbas al Fassi che vinse le legislative nel 2007, e i liberali dell’RNI, Assembramento nazionale degli indipendenti (un’alleanza tra sette partiti di stampo monarchico) di cui fa parte il ministro delle Finanze Salaheddine Mezouar.
La giornata elettorale di oggi, nonostante le proteste della vigilia, si è svolta senza gravi incidenti ed è stata monitorata da circa quattro mila osservatori nazionali e internazionali. La partecipazione alle 38 mila urne a disposizione è stata bassa: alle ore 15.00 aveva votato solo il 22,4 per cento degli aventi diritto. In queste seconde elezioni che si svolgono in Medio Oriente dopo lo scoppio della Primavera araba non si sono infatti viste le lunghe code alle urne come era accaduto, ad ottobre, per il voto in Tunisia che ha portato alla vittoria gli islamici moderati di Ennahda.