È la fine?
"Senza drastici cambiamenti", scrive l'Economist, "la moneta unica potrebbe non esistere più nel giro di poche settimane"
La copertina dell’Economist di questa settimana raffigura un euro che precipita, infuocato come una stella, e un titolo eloquente: “Is this really the end?”. È davvero la fine? Molte persone, spiega il settimanale britannico, pensano in cuor loro che per quanto incerti possano essere i leader europei, alla fine la minaccia della fine dell’euro si rivelerà talmente forte da costringerli a prendere delle decisioni importanti e fare di tutto per salvare la moneta. Non è così semplice. D’altra parte è ormai chiaro che la crisi si sta allargando, che lo sgretolamento delle economie più deboli sta tirando con sé anche le presunte economie forti, che la posta in gioco è la sopravvivenza dell’euro e che una sua morte provocherebbe disastri peggiori della crisi del 2008.
L’area del mondo finanziariamente meglio integrata si lacererebbe tra default, fallimenti delle banche, nazionalizzazioni. L’eurozona si ritroverebbe spezzettata o tuttalpiù divisa in due, un blocco settentrionale più o meno compatto e uno meridionale frammentato. Molti trattati verrebbero infranti. Le differenze di valore e prestazioni tra le monete delle aree più solide e quelle delle aree periferiche porterebbero con ogni probabilità allo svuotamento del mercato unico. La stessa sopravvivenza dell’Unione Europea sarebbe messa in discussione.
Sono questo genere di paure, sostiene l’Economist, che impediscono alle nazioni in difficoltà di trovare conforto dai loro cambiamenti. La Spagna ha ribaltato il suo governo e continua a pagare interessi altissimi. La stessa cosa accade all’Italia. I tassi di Belgio e Francia sono in crescita. Persino le aste dei Bund tedeschi accusano qualche fatica. Le banche sono nel panico: hanno sempre meno risorse, e non se le prestano a vicenda. Le misure di austerità, la crisi dei consumi. Mettete tutto insieme, dice l’Economist, e avrete la spiegazione della profonda recessione in cui l’eurozona entrerà nel 2012. Un circolo vizioso che porterà con sé deficit ancora più alti, debiti più alti, frustrazione degli elettorati a sobbarcarsi altri sacrifici.
Le decisioni prese dai leader europei fino a questo momento sono state inutili. Il fondo di salvataggio degli stati europei (EFSF) non andrà da nessuna parte, dice l’Economist. Servono progetti a lungo termine, servono idee più coraggiose di quelle prese in considerazione finora: maggiore integrazione e supervisione fiscale, maggiore integrazione politica. Cessioni di sovranità che nessuno è disposto a trangugiare. Angela Merkel non vuole nemmeno gli Eurobond, le obbligazioni collettive dell’eurozona. La stessa Banca Centrale Europea non è disposta a fare da prestatore di ultima istanza, garantendo liquidità alle economie in sofferenza. L’Economist lo dice chiaramente, a un certo punto, verso dove stiamo andando.
Non si può andare avanti così a lungo. Senza drastici cambiamenti, da parte della BCE e dei leader europei, la moneta unica potrebbe distruggersi nel giro di poche settimane. L’evento scatenante può essere il fallimento di una grande banca, la caduta di un governo, un altro flop in un’asta di titoli. L’ultima settimana di gennaio l’Italia dovrà rifinanziarsi piazzando titoli per 30 miliardi di euro. Se i mercati non risponderanno bene, e la BCE nemmeno, l’Italia si ritroverebbe a un passo dal default.
La scala delle riforme necessarie a evitare questo scenario diventa ogni giorno più grande, mentre il tempo diventa ogni giorno di meno. L’unica istituzione che può fare qualcosa subito è la Banca Centrale Europea: trasformarsi in prestatore di ultima istanza, stampare moneta. Se non vorrà farlo, dice l’Economist, tagli almeno i tassi di interesse a breve termine e vada avanti con l’acquisto di titoli di Stato, ma su scala più grande. Poi ci sono il debito greco da ristrutturare, Italia e Spagna da riformare, certo. Ma tutto va comunque a finire nelle mani di due soggetti, alla fine della fiera: la BCE e la Germania. Angela Merkel, scrive l’Economist, non può continuare a minacciare le economie deboli con l’uscita dall’euro con una mano, e rassicurare i mercati sulla sopravvivenza dell’euro con l’altra mano. Scelga lei, o sceglierà qualcuno per lei.