Il posto più pericoloso d’Europa
Se ne avete sentito parlare di recente, è per via di un calciatore
Il Daghestan è una delle repubbliche che compongono la Federazione Russa. Ha circa tre milioni di abitanti e si trova nel Caucaso, confinante con la Cecenia, sulla sponda occidentale del Mar Caspio. Un reportage della giornalista della BBC Lucy Ash spiega perché il piccolo paese caucasico è “il posto più pericoloso d’Europa”.
Una storia difficile
Nel territorio della repubblica del Daghestan vivono una ventina di gruppi etnici, per la maggior parte di origine caucasica (come gli àvari, quello più numeroso, circa un quarto della popolazione) o turca, con consistenti minoranze russe, azere e cecene. Dal punto di vista religioso, quasi il 90 per cento della popolazione è musulmana, per la maggior parte sunnita. Le confraternite sufi (il sufismo è la principale corrente mistica islamica) sono molto diffuse.
Dall’inizio dell’Ottocento la zona del Daghestan entrò sotto il controllo dell’impero russo, ma le popolazioni locali portarono avanti ribellioni armate per decine di anni. L’industrializzazione dell’URSS ordinata da Stalin non ebbe molti effetti in Daghestan, che da allora è una delle regioni più povere della Russia. Come in gran parte del Caucaso e in particolare nella vicina Cecenia, a partire dalla fine degli anni Ottanta anche in Daghestan c’è stata una ripresa dei movimenti islamici fondamentalisti, che è andata insieme alla diffusione della corrente wahhabita, nata in Arabia Saudita e generalmente più estremista (è quella a cui aderiscono anche gli appartenenti ad al-Qaida). In un paese così frammentato, conservatore e geloso delle proprie autonomie, il messaggio degli estremisti ha incontrato molte resistenze da parte di alcuni settori della popolazione, ma l’instabilità e le violenze rappresentano comunque un pericolo quotidiano nel paese.
Per gran parte degli ultimi vent’anni, il conflitto più noto è stato quello che si è svolto in Cecenia, in cui la Federazione Russa ha combattuto due guerre nel 1994-1996 e nel 1999-2000 e mantiene ancora una consistente presenza militare. Oggi la Cecenia è diventata una delle aree (in apparenza) più stabili della regione, sotto il governo autoritario di Ramzan Kadyrov, e i fondamentalisti islamici compiono azioni di guerriglia limitate alle zone montuose. Ma la violenza si è spostata nel vicino Daghestan, dove i militanti vorrebbero instaurare uno stato islamico indipendente da Mosca.
Il posto più pericoloso d’Europa
Secondo il sito indipendente di notizie Caucasian Knot, nei primi nove mesi del 2011 sono morte in Daghestan 315 persone, e altre 224 sono state ferite. Come racconta il reportage della BBC, quasi ogni giorno nella capitale Makhachkala ci sono scontri a fuoco tra le forze di sicurezza del governo locale e i militanti e attentati esplosivi, mentre le organizzazioni per i diritti umani riportano storie di torture e rapimenti. Cercando “Daghestan” o “Dagestan” negli archivi delle agenzie fotografiche si ottengono quasi soltanto foto di cadaveri, edifici o auto distrutte da esplosioni e sparatorie.
I militanti islamici prendono di mira i negozi che vendono alcool: lasciano qualche avvertimento al proprietario nei giorni precedenti, attraverso una lettera o un biglietto lasciato nella macchina del proprietario, e se questo non si adegua entrano in azione sparando contro il negozio o piazzando una bomba. In molti casi, il commerciante accetta di pagare del denaro in cambio di “protezione”. L’altro bersaglio degli attentati sono le forze di sicurezza: le autobombe colpiscono le stazioni di polizia, o ordigni più piccoli fanno da esca per l’arrivo dei poliziotti, prima che esploda una bomba più grossa.
A Makhachkala, dice il reportage, c’è un poliziotto quasi a ogni angolo. Molti di loro, però, hanno così paura degli attacchi dei terroristi da non indossare l’uniforme quando vanno per le strade, e chi deve fare perquisizioni e posti di blocco lungo le strade indossa spesso maschere per non farsi riconoscere. La presenza di poliziotti e militari si traduce in sparatorie molto frequenti per le vie della città, ma accanto alla linea dura e alla risposta militare ai terroristi, il governo del Daghestan dice anche di cercare una via più conciliante.
Rizvan Kurbanov, il vice primo ministro del Daghestan responsabile anche della sicurezza, è a capo di una commissione istituita da poco dal governo per convincere i combattenti ad abbandonare la lotta armata e a ritornare dalle loro famiglie. Allo stesso tempo, la commissione fa pressione sui familiari perché cerchino attivamente i loro parenti “nella foresta” e li convincano a rivolgersi al governo, che promette di considerare seriamente le loro richieste di clemenza. Ma finora l’operato della commissione è stata in grado di raggiungere solo figure di piccola importanza nella guerriglia.
Il Daghestan e il calcio
Come nella vicina Cecenia, anche in Daghestan uno degli strumenti principali per portare avanti la politica di “normalizzazione” e di occidentalizzazione è stato il calcio. L’uomo d’affari russo Suleiman Kerimov ha finanziato la costruzione di stadi e campi da calcio in giro per la piccola repubblica, cercando di convincere i ragazzi a giocare a pallone invece di “andare nella foresta”, l’espressione che in Daghestan come in Cecenia indica chi si unisce alla lotta armata, che ha le sue basi nelle zone più remote del paese.
Il miliardario Kerimov, che è molto vicino al governo di Mosca, ha anche comprato l’Anzhi Makhachkala, la squadra della capitale, e ha iniziato una campagna acquisti di giocatori di livello internazionale: l’ultimo colpo, e uno dei più clamorosi, è stato l’acquisto di Samuel Eto’o, ex attaccante dell’Inter. Secondo molti, l’ingaggio complessivo di Eto’o sarebbe così alto da farne attualmente il giocatore più pagato del mondo. Il giocatore dice di essere “fiero” di giocare per una squadra daghestana, ma dopo ogni partita ritorna, come gran parte della squadra, nella ben più sicura Mosca, dove vive e si allena.
foto: AP Photo