La lettera aperta di Ichino al PD
Il senatore e giuslavorista scrive all'Unità e chiede al suo partito di aggiornare la sua linea politica sul lavoro, invece che continuare a subirla
L’Unità di oggi pubblica una “lettera aperta al Partito Democratico” firmata da Pietro Ichino, giuslavorista e senatore del partito. Ichino si trova da qualche tempo al centro del dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro. Ha scritto una proposta di legge sottoscritta in Senato da 55 parlamentari del gruppo del Partito Democratico, la maggioranza, e sostenuta apertamente dal Terzo Polo. Quella proposta è stata giudicata indigesta da parte della segreteria del PD che sostiene Bersani, soprattutto dal responsabile economico Stefano Fassina, al punto da portare un altro membro della segreteria, Matteo Orfini, a definire “una provocazione” un eventuale ingresso di Ichino (definito “un pasdaràn”) nel governo Monti. Ichino oggi non fa parte del governo – le forze che lo sostengono hanno deciso di non far entrare i politici – ma il presidente del Consiglio, nel suo discorso programmatico al Senato, ha fatto esplicitamente riferimento alla proposta Ichino come base da cui partire per riformare il mercato del lavoro in Italia.
All’inizio di questa legislatura erano due i grandi temi caldi della politica del lavoro individuati dal manifesto programmatico del Partito Democratico, sotto il titolo Per dare valore al lavoro. Il primo era quello dello spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, anche per aprire il Paese agli investimenti stranieri e ai piani industriali più innovativi che essi sovente portano con sé. Il secondo era quello del superamento del dualismo del nostro mercato del lavoro, del regime attuale di feroce apartheid fra lavoratori protetti e non protetti, attraverso il nuovo disegno di un diritto del lavoro capace di applicarsi in modo davvero universale a tutti, conciliando il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale per i lavoratori nel mercato del lavoro.
Nel 2009 i due punti programmatici vengono tradotti in altrettanti disegni di legge, rispettivamente n. 1872 e n. 1873, presentati da 55 senatori (la maggioranza del nostro Gruppo al Senato). Il primo dedicato alla riforma del sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva, con la previsione della derogabilità del contratto nazionale da parte di quello aziendale, nell’ambito di regole precise di democrazia sindacale. Il secondo dedicato al disegno di un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi in modo universale, ricomprendendo davvero tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente destinati a costituirsi da qui in avanti, voltando pagina rispetto al dualismo attuale. Entrambi i disegni di legge, però, a seguito della conferenza programmatica del partito del maggio 2010, sono stati accantonati dalla nuova maggioranza nata dall’ultimo congresso.
Per quel che riguarda la prima questione, la critica rivolta nel 2010 dai responsabili del Lavoro e dell’Economia al d.d.l. n. 1872 è quella di attentare al ruolo centrale e insostituibile del contratto collettivo nazionale di lavoro, riducendo la sua inderogabilità. Senonché, collocandosi su questa posizione, il Pd si trova impreparato di fronte alla vicenda degli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori (poi anche Grugliasco), contenenti alcune deroghe al contratto nazionale; basti ricordare, in proposito, il commento imbarazzato e inadeguato dei vertici del partito al primo dei tre accordi: “Sì, purché sia un’eccezione”. Quella stessa vicenda sindacale è destinata, però, a determinare nel giro di un anno, una svolta epocale nell’evoluzione del nostro sistema delle relazioni industriali, con la firma – anche da parte della Cgil – dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. L’elemento di maggiore novità in questo accordo è costituito proprio dal rilevantissimo ampliamento della possibilità di deroga al contratto nazionale ad opera del contratto aziendale, nel rispetto di regole precise di democrazia sindacale (altro che “eccezione”!): sostanzialmente, si tratta della stessa riforma che è prevista nel d.d.l. n. 1872/2009. A me sembra evidente che, se il Pd nel 2009 e 2010 avesse confermato la linea cui si ispira quel disegno di legge, la vicenda degli accordi Fiat nel 2010 si sarebbe svolta in modo molto meno lacerante. Il Pd ci arriva, invece, solo dopo l’accordo del giugno 2011.