Mario Monti e Merkozy
Riscoprire il nostro passato europeista può fare solo bene, a noi e all'Europa, e aiutarci a superare quest'orrendo neologismo
L’alleanza politica e decisionale della Francia e della Germania sta influenzando profondamente il modo in cui l’Unione Europea sta gestendo la crisi dell’euro. La loro gestione degli affari europei è stata molto criticata dai commentatori in giro per il mondo, che li hanno accusati di porre continuamente un freno a iniziative energiche che avrebbero potuto fare di più per evitare il peggio, per esempio da parte della Banca Centrale Europea. Ma il fatto notevole è che l’Unione Europea sta mostrando una sostanziale debolezza e mancanza di autonomia rispetto ai punti di vista di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, non a caso soprannominati molto spesso, in questi giorni, con un “collettivo” Merkozy.
I paesi più colpiti dalla crisi, da parte loro, sono stati tutti colpiti anche da una crisi politica: entro pochi giorni, con le elezioni spagnole, tutti i governi dei cinque paesi europei più in difficoltà (Spagna, Irlanda, Portogallo, Grecia, Italia) saranno stati sostituiti.
La relazione franco-tedesca è indispensabile all’Unione, anche se non è priva di attriti dietro la concordia mostrata agli incontri internazionali: proprio in questi giorni la Francia, dopo le prime difficoltà finanziarie che ne possono mettere a rischio la valutazione AAA, il punteggio massimo concesso dalle agenzie di rating, sta spingendo per un impegno maggiore da parte della BCE. E soprattutto, la centralità della relazione tra Francia e Germania fa sentire esclusi e privati di potere decisionale gli altri paesi dell’euro, proprio quando sarebbe necessaria una politica comune e condivisa tra i governi, un deciso slancio europeista. E qui entra in gioco l’Italia.
Il nostro passato europeista
Anche guardando solo gli aspetti economici, l’Italia è una parte fondamentale dell’Unione. La nostra economia rappresenta più del 17% del PIL dell’area euro, non molto meno della Francia (19,4%). Ma anche dal punto di vista politico, l’Italia ha una lunga tradizione europeista, e spesso è stata al centro dei momenti fondamentali per la nascita e lo sviluppo dell’Unione e dell’euro: da Altiero Spinelli e Alcide De Gasperi, tra i padri fondatori dell’Unione, al Consiglio Europeo di Milano che mise le basi per l’Atto unico europeo nel 1985, alla presidenza dell’Unione Europea di Romano Prodi (1999-2004). Al confronto, la Francia ha un passato molto più timido verso l’integrazione europea. Un aneddoto racconta che, quando il ministro degli esteri francese chiese a Charles de Gaulle (presidente francese dal 1959 al 1969) quale funzionario dovesse mandare a Bruxelles per la nuova Commissione europea, de Gaulle rispose: “Manda il più stupido”.
Nonostante questo, Il governo Berlusconi non ha certo messo l’Europa al centro del suo programma della politica estera. Per fare un solo esempio, il ministero per le Politiche Europee (in realtà un dipartimento della Presidenza del Consiglio) è stato affidato inizialmente al finiano Andrea Ronchi ma, dopo l’uscita di questi dal governo, è rimasto vacante per più di otto mesi, per essere dato solo alla fine di luglio scorso ad Anna Maria Bernini.
L’europeismo di Monti
Il nuovo primo ministro Mario Monti, ex Commissario europeo, ha un lungo passato di sostegno e di promozione della causa europea e della maggiore integrazione politica ed economica. Come commissario ha agito a favore del libero mercato e della concorrenza a livello europeo, ma si è espresso anche a favore di strumenti finanziari comuni, come gli eurobond, e di una politica fiscale coordinata. Nel prossimo futuro vedremo se un governo italiano più autorevole e meno diffidente dell’Unione Europea riuscirà ad aumentare il suo peso politico nell’Unione Europea, ma nel frattempo molti commentatori hanno già espresso questo augurio e questa speranza.
Come ha scritto Sylvia Goulard su Le Monde, europarlamentare e consigliere politico di Romano Prodi quand’era presidente della Commissione Europea,
una terza voce rispettata potrebbe aiutare il Consiglio europeo a superare le divergenze dette “franco-tedesche”. […] Bisogna sperare che l’esperienza italiana in corso riesca. Non solamente perché il suo fallimento avrebbe conseguenze terribili per tutti noi, ma anche perché offre una possibilità unica per arricchire la necessaria cooperazione tra Francia e Germania di un apporto prezioso, che ridia tutto il suo senso alla costruzione comunitaria.
foto: GERARD CERLES/AFP/Getty Images