Monti, sei tutti noi?
Se questo governo vuole cambiare le cose, diamogli una mano: se non le vuole cambiare, convinciamolo a farlo. È l'unico che abbiamo
Il governo Monti si avvia a costituirsi sotto gli occhi confusi degli altri italiani, combattuti tra la disillusione per un sistema che è quello di prima e la voglia di fidarsi di qualcuno che arrivi da un altro pianeta, qualunque esso sia, ma non questo. È una confusione inevitabile, umanissima, a cui riescono a sottrarsi solo i cinici, i disperati e certi disumani.
Ma noialtri umani? Noialtri che camminiamo in mezzo a una tormenta sfinente e deprimente, come la prendiamo ora che ci dicono che è arrivato un calzolaio e che l’unica cosa che conta è riparare le scarpe? Diciamo “wow”, con la residua ironia che ci resta. Non era a questo che pensavamo, abbiamo scritto, riflettendo sulle composizioni ipotizzate del nuovo governo del nostro paese: pensavamo a cambiare le cose, a doverne cambiare moltissime, e voler cominciare da subito. Ci pensiamo ancora, e siamo convinti che ci vogliano rotture, invenzioni, coraggio, scartare di lato e qualche volta cadere: ci vuole un gran fegato. Ma non sono questi i tempi, ci dicono e ci diciamo.
E però, come disse quello: noi siamo i buoni, vediamo di dimostrarlo. Se le prospettive di futuro non le sblocca una nuova legge elettorale, non le sbloccano partiti screditati, non le sblocca un governo espressione anagrafica e storica di poteri e sistemi che sarebbe bello superare, rinnovare, rivedere, allora la responsabilità di costruire qualcos’altro, un approccio sovversivo e promettente, ricade sulle spalle di noi umani qua fuori. Ci siamo riempiti la bocca della parola “unità” e della necessità di superamento delle divisioni e dell’inevitabilità di un’intesa comune se vogliamo avere la forza per costruire qualcosa di meglio, e allora facciamo quel che ci siamo detti. Ci vuole una maggioranza, per cambiare le cose: costruiamola a partire dall’esistente.
Il governo Monti.
Questo abbiamo, a meno di non volersi chiamare fuori, un’altra volta. Diamogli fiducia, qualcuno deve cominciare: può darsi che se la meriti già, come dicono alcuni, può darsi che debba meritarsela. Ma dargliela è l’unico modo per ottenere qualcosa. Andiamo a vedere: questo è un governo che avrà un’opportunità storica e unica, concentrata in gran parte sulle spalle del suo capo. Ovvero provare a sistemare le fondamenta di tutto quello che da anni ci diciamo vada costruito: la legge elettorale, il conflitto di interessi, i costi della politica, un progetto per la Rai, l’investimento su scuola e ricerca, l’innovazione tecnologica, la riforma della giustizia. Roba da entrare nella storia, che non è una brutta cosa, o da farsi ammirare da un paese intero (quasi intero, che qualche capriccioso si trova sempre, ma diventino minoranza). E non si dica che le-priorità-sono-altre. Nessun governo in carica regolarmente e con dei ministri veri è sottratto ai sui ruoli e responsabilità complessivi: risanare i conti non impedisce di governare come si deve, e anzi la costruzione di un paese economicamente sano passa per la ricostruzione di un paese sano. Tanto più se si è annunciato di voler completare per intero il mandato.
Seconda obiezione, più solida: questo parlamento diviso e misero appoggerà grandi progetti di riforme e sviluppo dell’Italia, che di certo divideranno (divide tutto, in Italia, anche le giornate di sole)? Non lo sappiamo, e sarà difficile, certo. Ma nessuno ha detto che sia facile, e tanto più cominciamo a sottrarci noi, dall’appoggio a simili progetti, tanto più conforto ne riceveranno i rematori contro di professione. Non sia in nome nostro, che remeranno contro.
Si può pensare che l’Italia sia spacciata, e chiamarsi fuori. Oppure si può pensare che sia molto nei guai ma abbia una chance, se tutti si danno da fare per coltivarla: quella chance al momento sta nelle mani di un professore sessantottenne, di un governo tutto da vedere e di un parlamento definito da Massimo Gramellini “il carrello dei bolliti”. Ma anche di tutti quanti noi che, siamo una democrazia, non siamo stati estranei alla creazione di tutto questo. Chi comincia a cambiare strada? Le leadership o i cittadini? Noi abbiamo sempre pensato abbiano maggiori responsabilità le leadership, e ancora lo pensiamo: che queste mostrino grandi progetti e buone intenzioni glielo chiediamo da subito – significherà qualcosa, il giuramento di oggi, no? – e che li realizzino da qui a quando, come è giusto, andremo a votare per la seconda fase di questo cambiamento, di cui si dovranno occupare altri e ancora più eroici. Ma se c’è bisogno di un buon esempio (e ce n’è sempre bisogno), eccolo: da oggi, suggerendo e criticando, questo governo è il nostro governo e il suo progetto è il nostro progetto. Cerchi di averne cura, che ci teniamo.