«Che mi chiami Marione proprio non lo sopporto»
Un ex studente universitario di Monti racconta i loro rapporti in Bocconi, l'importanza delle cravatte, della formalità e degli studi all'estero
Alberto Bisin è docente di economia all’università di New York. Nel 1987 si è laureato all’università Bocconi con Mario Monti come relatore, e ieri sul sito NoisefromAmerika ha raccontato un po’ di cose leggere e istruttive sul futuro presidente del Consiglio.
Lo chiamavamo “il boss”. Non perché avesse toni o atteggiamenti mafiosi, tutt’altro, ma perché i suoi (e i nostri) comportamenti non davano adito a dubbi su chi stesse sopra e chi sotto nella gerarchia. Monti era il boss. Ci riceveva nel suo ufficio, sedendo al tavolo lungo pieno di carte, non alla scrivania, sotto la sua foto con Jim Tobin a Yale. Ci trattava con gentilezza ed educazione estrema, molto formale – il giorno dopo la laurea il “buongiorno Bisin” è immediatamente diventato e rimasto “buongiorno dottor Bisin”. Ma naturalmente pretendeva lo stesso per sé. Giacca e cravatta erano un must (perfino Danilo metteva la cravatta; sospetto questa sia la principale ragione per cui il nostro Sandro Brusco chiese a un altro professore di essere relatore di tesi). Un giorno che dopo averci parlato me la sono tolta e l’ho incontrato in corridoio, mi disse “ma lei Bisin un minuto fa non aveva una cravatta?” – e non scherzava affatto, era davvero un po’ disturbato. Ci si rivolgeva a lui come “professore” se a parole, e come “chiarissimo professore” se per iscritto. E non solo noi studenti. Non ho mai sentito nessuno dargli del tu. O meglio, una volta, mentre ero nel suo ufficio fui interrotto da un economista che io allora conoscevo solo di nome, celeberrimo in Italia, che entrò e lo chiamo’ “Marione”. Quando uscì, Monti, disse tra sé e sé: “che mi chiami Marione proprio non lo sopporto.” Mi sentii allora importante, parte di un segreto del boss (e quindi non rivelo chi fosse l’economista). Ascoltava il nostro spiel sui progressi nella tesi – preparato attentamente davanti allo specchio perché fosse preciso, conciso, chiaro – ogni due tre settimane, con estrema attenzione senza mai dire una parola (almeno nel mio caso).
La sua forza di attrazione per noi giovinetti con vaghi sogni accademici derivava dal fatto che poteva influenzare la scelta di parecchie borse di studio per studiare negli Stati Uniti e aveva una ottima reputazione presso i dipartimenti USA che gli permetteva di piazzare studenti. Dopo tutto aveva “prodotto” Guido Tabellini, Alberto Alesina, Vittorio Grilli… Il mio anno mandò qui in Amerika, oltre a me, Roberto Perotti, Luigi Zingales, Antonio Merlo, Francesca Cornelli, Laura Bottazzi, Danilo Guaitoli, Pino Lopomo, e sicuramente altri ancora. A tutti questi (credo) trovò borsa di studio e aiutò per l’ammissione.