Le industrie sommerse di Bangkok
L'inondazione della capitale thailandese ha fatto chiudere centinaia di industrie e 100mila lavoratori rischiano di perdere il lavoro
Bangkok, in Thailandia, si trova parzialmente sommersa da più di tre settimane e il numero delle persone uccise dall’alluvione è salito a 562. La periferia settentrionale e occidentale della città è tuttora allagata, mentre la situazione sta progressivamente migliorando nelle province centrali grazie anche alle 250 pompe idrauliche che sono al lavoro per drenare l’acqua. Il rischio di emergenza sanitaria e la diffusione di malattie e infezioni a causa dell’acqua stagnante e dei rifiuti che in queste condizioni non riescono ad essere smaltiti restano molto alti.
Un’altra grave preoccupazione è legata alle quattro grandi aree industriali che si trovano alla periferia di Bangkok che è il maggior centro economico e produttivo del Paese. A causa dell’inondazione e della lentezza con cui l’acqua scende di livello centinaia di stabilimenti sono infatti fermi dall’inizio di ottobre compresi quelli dell’industria automobilistica, uno dei settori più importanti dell’economia thailandese: nella fabbrica della Honda, nell’area di Rojana, tre giorni fa l’acqua raggiungeva i quattro metri di altezza. Ieri il ministro dell’Industria Wannarat Channukul ha detto che il lavoro di recupero è iniziato e che progressivamente arriverà in tutti e quattro i distretti industriali.
La situazione è però molto rischiosa anche per le possibili scariche di corrente elettrica che in alcune zone non è non stato possibile sospendere: ad oggi l’area più colpita resta quella di Ayutthaya, l’antica capitale a nord di Bangkok in cui si trovano diversi stabilimenti di grandi imprese giapponesi. Phakorn Wangsirabat, il direttore della Federation of Thai Industries di quella provincia, ha detto: «Più di 300 delle 2.150 fabbriche presenti nella zona di Ayutthaya, come quelle dello Saharattananakorn Industrial Estate e del Rojana Industrial Park, sono ancora bloccate dall’alluvione e questo significa che 100 mila lavoratori potrebbero perdere il loro posto se le aziende dovranno sospendere a lungo la produzione e non potranno quindi sostenere la situazione».