L’alluvione di Messina, due anni dopo
Uno dei voti persi alla Camera da Berlusconi ha a che fare col disastro che uccise almeno 30 persone: i fondi stanziati non sono ancora disponibili
Nella notte tra il primo e il 2 ottobre del 2009, un violento nubifragio causò in parte della Sicilia nord-orientale lo straripamento di diversi corsi d’acqua e la formazione di frane, con colate a valle di fango e detriti che causarono la morte di almeno 30 persone (la cifra non è nemmeno ancora chiara del tutto: secondo chi parla la stima varia da 31 a oltre 40). L’alluvione interessò principalmente le aree di Scaletta Zanclea e altre località vicine a Messina come Giampilieri, Molino e Pezzolo. In seguito al disastro la Procura di Messina aprì un’inchiesta e le indagini, appena concluse, hanno portato a diciotto amministratori indagati con l’ipotesi di reato di disastro e omicidio colposi plurimi. Mentre la vicenda segue il proprio iter giudiziario, gli abitanti delle zone colpite attendono da anni di ricevere i fondi per le compensazioni dei danni subiti e per la ricostruzione.
Dopo aver tergiversato per quasi due anni, la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha emanato lo scorso 2 settembre un’ordinanza per stanziare 70 milioni di euro per l’alluvione del primo ottobre, e altri 90,8 milioni per i comuni interessati da altre alluvioni e smottamenti nel febbraio del 2010. Il problema sembrava essere finalmente risolto, ma a fine ottobre il responsabile della Protezione civile, Franco Gabrieli, denunciò l’impossibilità di utilizzare i fondi a causa di un errore contenuto nell’ordinanza del governo.
Gabrieli spiegò che, per come era stata scritta a Roma, l’ordinanza non permetteva alla Regione di utilizzare le somme per la ricostruzione e il pagamento dei danni. I fondi erano vincolati al patto di stabilità regionale e quindi impossibili da usare nell’anno in corso a causa dei vincoli stabiliti dal patto per i bilanci siciliani del 2011. Il Dipartimento regionale della Protezione Civile chiese allora a Roma di rivedere le disposizioni, così da consentire l’utilizzo delle somme stanziate subito senza rimandare ancora una volta il loro impiego.
Pochi giorni fa la Ragioneria generale dello Stato, l’organo del Ministero dell’Economia e delle Finanze che si occupa del bilancio di previsione e del rendiconto generale, ha risposto alla richiesta dicendo che l’ordinanza del Governo è del tutto corretta. Lo stanziamento dei fondi è stato volutamente legato al patto di stabilità, dunque non a causa di un errore, perché «il trasferimento delle risorse in parola direttamente sulla contabilità speciale del commissario delegato determinerebbe effetti negativi in termini di indebitamento netto, per i quali occorre individuare idonea compensazione». In pratica, la Ragioneria ha fatto sapere alle autorità siciliane che per ragioni di bilancio le spese per le alluvioni di due anni e di un anno e mezzo fa non potranno essere effettuate prima del 2012, perché il patto di stabilità è inderogabile. Spiega Lucio D’Amico sulla Gazzetta del Sud:
Insomma, lo Stato chiude le porte e la Regione è costretta, almeno per il momento, a contare solo sulle proprie risorse che, come ogni fine anno, sono ridotte al lumicino. Per il 2011, se tutto va bene, nella disponibilità delle strutture commissariali, potranno esservi soltanto 20 milioni di euro, rispetto ai 160 previsti. Tutte le opere programmate restano ferme al palo, gli impegni annunciati sono destinati a slittare al 2012 o a chissà quando. Come se l’emergenza fosse già stata superata e mandata in archivio.
In discussione per ora non c’è la possibilità che i fondi vengano utilizzati o meno, semmai i tempi necessari per superare questi nuovi ostacoli burocratici. Parte della ricostruzione è già stata avviata attraverso l’uso di anticipi provenienti dal Fondo per le aree sottoutilizzate (FAS), ma la cifra promessa dal governo è necessaria per mettere in cantiere altre opere e finanziare il resto della ricostruzione.
La vicenda dei fondi per l’alluvione di Messina e gli smottamenti del 2010 si innesta su quella della politica nazionale degli ultimi giorni. Prima del voto alla Camera dello scorso 8 novembre che ha portato alle dimissioni di Silvio Berlusconi, il deputato Francesco Stagno d’Alcontres di Grande Sud (componente del gruppo Misto) aveva minacciato di non votare a favore del governo anche a causa della questione dei fondi da sbloccare. Il deputato siciliano faceva parte del Popolo della Libertà ma lo scorso agosto decise di seguire Gianfranco Micciché, impegnato nella costruzione di un nuovo partito ispirato al meridionalismo. Stagno d’Alcontres spiegò le proprie ragioni in una intervista al Corriere della Sera:
Io non posso perdere la faccia con i miei elettori, con i siciliani che, puntualmente, mi danno fiducia e mi mandano in Parlamento. Nel 2009, dalle mie parti, a Giampilieri, una frazione di Messina, ci fu una alluvione terrificante… Per questo io dico a Palazzo Chigi: visto che vi state giustamente mobilitando per l’ alluvione della Liguria, non potete dimenticarvi di quella di Messina. E siccome i politici, se vogliono, possono tutto, io chiedo e mi aspetto che la Ragioneria dello Stato, con un artificio amministrativo, consenta di elargire un anticipo agli alluvionati del Messinese. Tutto qua. Punto. Non chiedo altro.
Il deputato di Grande Sud aggiunse poi che in assenza di un impegno da parte di Berlusconi sul tema, non avrebbe partecipato al voto per salvare il governo. E così fece: il giorno dopo non votò facendo arrivare la maggioranza a quell’esiguo 308 voti a favore che fu il colpo di grazia per il governo.