Le biblioteche moderne
In molti posti del mondo non sono i luoghi polverosi e anacronistici che molti immaginano: in Italia invece sono trascurate e ostili, e un blog chiede di rivalutarle
Anna Pegoretti, una ricercatrice italiana che si occupa di storia della letteratura a Leeds, in Inghilterra, ha pubblicato sul blog dell’agenzia letteraria Ultima Sigaretta una riflessione sul senso delle biblioteche pubbliche oggi e sulla sua sottovalutazione italiana.
Nella vita faccio ricerca. Fondamentalmente mi occupo di letteratura e di storia. Il mio laboratorio è la biblioteca e ve lo voglio raccontare.
Moltissime delle biblioteche universitarie inglesi sono a scaffale aperto (vai a prenderti i libri da solo, per intenderci) e sono organizzate in modo tematico (storia, letteratura, teologia, scienze, legge ecc., con un’infinita serie di suddivisioni). Questo significa innanzitutto che, se partirete cercando un libro o un articolo, tornerete indietro con almeno tre, ovvero: avrete scoperto l’esistenza di due titoli che fino a quel momento ignoravate o non avevate preso in considerazione, e che hanno fortissime probabilità di essere molto più utili del primo, quello per cui vi siete mossi. È anche il motivo per cui, in posti come questi, troverete sempre gente seduta per terra sotto montagne di scaffalature alle ore più improbabili. Mai vista una di queste biblioteche chiudere prima delle otto di sera; al Warburg Institute, da borsista, ho avuto la ventura di aggirarmi per i corridoi a mezzanotte, e non ero mai sola. Lì ho imparato una cosa fondamentale: non c’è catalogo, per quanto ben fatto, che possa sostituire i piedi.
L’impulso che un simile sistema dà alla ricerca è incalcolabile (e si vedano le parole di Claudio Giunta su Le parole e le cose). Lo sa chi lo ha provato: la quantità di cose che passano sotto gli occhi e modificano il ragionamento si moltiplica in modo esponenziale. Nelle biblioteche italiane, spesso ottime per patrimonio, si è per lo più costretti a richiedere i volumi (solitamente un numero ridotto) compilando una scheda, aspettare il momento della distribuzione (tempi di attesa: dai 5 minuti alle 5 ore), capire per quanto lo si può tenere, a quali restrizioni è soggetto il fondo cui appartiene, se si possono fare fotocopie. Spesso va tutto bene, ma vi assicuro che si può aspettare per due ore un libro che non arriverà mai, perché nessuno sa che fine abbia fatto (si narra persino che a Firenze diano per alluvionati testi post-alluvione). E comunque, niente piedi.
(continua a leggere sul blog di L’ultima sigaretta)