Come morì Saidou Gadiaga, in una caserma
Un video mostra la sofferenza del senegalese che un anno fa morì a Brescia senza ricevere le cure necessarie
Saidou Gadiaga, 37 anni, senegalese, morì il 12 dicembre dell’anno scorso in una cella della caserma dei carabinieri di Brescia. Sulle ragioni della sua morte e le responsabilità dei carabinieri c’erano state indagini e pesanti accuse, e interrogazioni parlamentari. Poi due settimane fa l’inchiesta è stata archiviata.
Nessuna responsabilità dei carabinieri o dei soccorritori, per la procura quanto accaduto nella cella di sicurezza è stata una tragica fatalità, una malattia, l’asma cronica, che ha preso il sopravvento su un fisico già provato. È stato ucciso dall’asma. Non ci sono responsabili per il decesso di Saidou Gadiaga, il cittadino senegalese di 36 anni morto il 12 dicembre scorso dopo essere stato male in una gelida cella di sicurezza della caserma Masotti in piazzale Tebaldo Brusato.
Arrestato per la Bossi-Fini, Gadiga, in Italia da quattro anni, aveva con sè l’inalatore con il farmaco per riuscire a respirare nei momenti di crisi. In pochi minuti, però, il malore era degenerato. Gli operatori del 118 avevano provato a rianimarlo perché era in arresto cardiaco, quindi avevano deciso di trasferirlo in ospedale. Una volta al pronto soccorso però il cuore del senegalese aveva cessato di battere.
Stamattina Repubblica.it ha messo online un video ripreso dalle telecamere interne della caserma in cui si vede Gadiaga chiedere aiuto perché si sente male, e la sua sofferenza è palese e drammatica, soprattutto alla luce di quello che gli è successo poi. Nel racconto di Repubblica sembrano essere ancora più drammatiche le immagini contenute nel video che non sono state messe sul sito (il video online dura un minuto e mezzo degli otto complessivi indicati e sarebbe stato consegnato dai carabinieri ai pm che conducevano l’indagine).
Gadiaga è un paziente asmatico. I carabinieri lo sanno perché ha subito mostrato il certificato medico. Alle prime ore del mattino il senegalese ha una crisi. Lo conferma un testimone, Andrei Stabinger, bielorusso detenuto nella cella accanto. “Sono stato svegliato dal detenuto che picchiava contro la porta e chiedeva aiuto gridando. Aveva una voce come se gli mancasse il respiro. Dopo un po’ di tempo ho sentito che qualcuno apriva la porta della cella e lo straniero, uscito fuori, credo sia caduto a terra”.
Quanto tempo è trascorso tra la richiesta di aiuto e l’intervento del militare? “Penso 15-20 minuti – fa mettere a verbale il testimone – durante i quali l’uomo continuava a gridare e a picchiare le mani contro la porta”. Il video fissa la scena e i tempi. Da quando si vedono le dita di Gadiaga sporgere dallo spioncino (sono le 7.44, l’uomo sta chiedendo aiuto già da parecchi minuti) all’arrivo del carabiniere, passano due minuti e 35 secondi. Gadiaga, uscito finalmente dalla cella, cade a terra alle 7.52: otto minuti dopo essersi sporto dalla camera. Altri 120 secondi e arrivano i medici del 118. Gadiaga è già privo di conoscenza, per lui non c’è più niente da fare.
L’autopsia conferma che la morte è avvenuta a causa di “un gravissimo episodio di insufficienza respiratoria comparso in soggetto asmatico”. E attesta, inoltre, che l’uomo “era clinicamente deceduto già all’arrivo dell’autoambulanza”. La versione dei carabinieri disegna un quadro un po’ diverso. Nella relazione di servizio inviata alla Procura, e in altre comunicazioni al consolato senegalese, i militari collocano il decesso di Gadiaga in ospedale, parlano di un aneurisma, escludono ritardi e carenze nei soccorsi.
Quale che sia la versione dei fatti avallata da tutta la sequenza, le immagini dell’interno di una caserma dei carabinieri, selle sue celle, di una persona che vi è rinchiusa e che sta male e delle attenzioni che riceve, sono una cosa che è giusto vedere. E una cosa che non rende del tutto convincente la conclusione delle indagini.
Quando esce dalla cella Gadiaga, in evidente stato confusionale, viene lasciato solo. I militari fanno notare che l’ultima uscita dalla cella – per fare pipì – dell’immigrato, risale a otto minuti prima della crisi: “Stava bene”. In realtà l’orario delle immagini fissa quell’uscita 26 minuti prima: non otto. La testimonianza dell’altro detenuto fa il resto. “Perché i carabinieri hanno detto che Gadiaga è morto in ospedale e non in cella?”, ragiona l’avvocato Manlio Gobbi. E perché – di fronte a tanti punti oscuri – il pm ha chiesto l’archiviazione del caso? “Chiediamo nuove indagini, da subito”, aggiunge. Il consolato del Senegal, da parte sua, promette che andrà fino in fondo per chiedere che sia fatta chiarezza.