I ratti di New York
Sono molti da sempre, ultimamente lo sono ancora di più (quanti?) e i disinfestatori sono ricercatissimi
La città di New York si trova in questi giorni al centro di uno di quei periodi, piuttosto ciclici, in cui le strade sono invase dai ratti. Nessun’area viene risparmiata: anche le più ricche e centrali sono colpite dall’infestazione, come quella dell’hotel Plaza o gli appartamenti delle celebrità al Greenwich Village. All’invasione si accompagna una specie di isteria collettiva – di questi tempi tutti hanno un aneddoto sui ratti, spiega il New York Magazine raccontando la situazione – che secondo alcuni si deve a una paranoia immotivata: la cosiddetta infestazione sarebbe causata da poche centinaia di roditori. Molti altri però sostengono che il problema ratti esista davvero, e la cosa sta avendo anche delle conseguenze politiche.
I ratti di cui si parla appartengono alla più diffusa specie di ratti a New York, il ratto norvegese, arrivato nel diciottesimo secolo e da allora intento a conquistare la città, a partire dalle zone costiere fino alle gallerie più sotterranee della metropolitana. Sono animali dotati di grande intelligenza, molto adattabili e velocissimi a riprodursi.
Le femmine di ratto marrone maturano sessualmente tra le otto e le dieci settimane di vita, e possono figliare dopo 21 giorni di gravidanza. Possono accoppiarsi di nuovo dopo già otto ore dal parto e generano oltre cinquanta cuccioli all’anno. I ratti possono nuotare per più di mezzo miglio, sopravvivere galleggiando per tre giorni, talvolta addirittura emergere dallo scarico del bagno. Rosicchiano il cemento e il piombo, e possono comprimere il loro corpo per passare attraverso fori non più larghi di una moneta. «I ratti che sopravvivono all’età di quattro anni sono le bestie più saggie e le più ciniche sulla terra», spiega un disinfestatore. «Una trappola per loro non è niente, e non importa quanto questa sia ingegnosa. La spingono in giro finché non scatta, e poi mangiano l’esca. Comincio a credere che alcuni di loro sappiano leggere».
Oltre alle fastidiose e anti-igieniche conseguenze dell’infestazione, il vizio dei ratti di rosicchiare i fili della luce è causa di circa un quarto dei casi in cui a New York manca la corrente. L’infestazione sta dando parecchi problemi all’amministrazione del sindaco Bloomberg, che l’anno scorso ha tagliato di un terzo i disinfestatori del dipartimento dell’igiene, sostenendo che i ratti sono un problema di tutte le grandi città e che, sottinteso, bisogna farsene una ragione. Il suo predecessore, Rudolph Giuliani, aveva idee decisamente opposte in merito.
Giuliani (che una volta disse a un allevatore di furetti che doveva farsi curare per la sua «ossessione per le donnole») dichiarò: «Facciamo sforzi senza precedenti per uccidere i ratti. Probabilmente guidiamo il paese nell’uccisione di ratti».
Il genere umano è probabilmente in debito con i ratti più che con qualsiasi altra specie animale, a giudicare da quante vite hanno aiutato a salvare con il loro ruolo di cavie da laboratorio. Siamo specie strettamente collegate: loro hanno bisogno di noi, prosperano nelle grandi città grazie all’incuria con cui ci disfiamo di cibo, scarti e rifiuti. Sono, in qualche modo, un riflesso dell’abbondanza e del conseguente spreco. Determinare il numero di ratti presenti a New York è quasi impossibile, ma una cosa è certa: stanno aumentando.
Per decenni la regola è stata un ratto per ogni essere umano, quindi otto milioni di ratti, un numero simbolico e allo stesso tempo incredibile. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, David E. Davis (definito «il padre fondatore degli studi moderni sui ratti» da Robert Sullivan, autore del libro Rats) mise in discussione il rapporto uno a uno. Dopo molto lavoro sul campo, Davis concluse che non c’erano più di 250.000 ratti, a New York, quindi appena un roditore ogni 36 persone.
Da allora, però, ci sono pochi dubbi sul fatto che la popolazione di ratti, incoraggiata dall’incrementale quantità di rifiuti di cui si cibano, è molto aumentata. Si sente qualsiasi tipo di numero. Un disinfestatore una volta mi ha detto che ci sono «tre, forse quattro» ratti per ogni cittadino. «Trentadue milioni di ratti?», ho chiesto. «Beh, almeno venti milioni», mi ha risposto. Nessuno lo sa con certezza, ma il numero esatto non è importante. Conta quanti ne vedi.
Nell’autunno del 2014 Jonathan Auerbach, uno statistico 26 enne che sta facendo il dottorato alla Columbia University, ha realizzato uno studio in cui afferma che i topi di New York sono, tenendosi larghi, 2,2 milioni. Lo studio, pubblicato sulla rivista di statistica Significance, ha vinto un concorso sponsorizzato dalla Royal Statistical Society di Londra. Auberbach ha spiegato che fare il censimento dei topi è stato un po’ complicato: avrebbe voluto catturarne una data quantità, marcarla e liberarla nuovamente. A quel punto avrebbe catturato un secondo gruppo di topi e in base alla percentuale di quelli marcati sarebbe risalito alla popolazione totale. Il dipartimento sanitario di New York però non è molto propenso a uno studio che prevede la messa in libertà di una grande quantità di ratti («lo so perché l’ho chiesto», ha spiegato Auerbach). Lo studioso ha allora preso in considerazione le telefonate ricevute dal 311 – il numero per le emergenze a New York – che segnalavano l’avvistamento di topi, e che si possono consultare pubblicamente sul sito del comune. A quel punto ha correlato ogni segnalazione con un edificio della città, e ha concluso che quelli infestati dai topi sono 40.500, ovvero il 4,75 per cento degli 842.000 edifici totali. «Sappiamo che una colonia è mediamente composta dai 40 ai 50 ratti», quindi stando larghi, i topi sono 2,02 milioni.
foto: AP Photo