Ieri il regime di Damasco ha accettato il piano della Lega Araba per il ritiro di ogni «aspetto armato» dai centri della rivolta. Ma in Siria non si fermano le violenze che proseguono da mesi: oggi a Homs, terza città del Paese a nord di Damasco, le forze di sicurezza che avrebbero dovuto lasciare le strade hanno aperto il fuoco dai carri armati in sette quartieri e ucciso almeno dodici persone. Lo hanno riferito i Comitati di coordinamento locale degli attivisti, fornendo una lista dettagliata delle vittime.
Inoltre, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, almeno 80 persone sono state oggi arrestate nella città di Deir az-Zour, nella Siria dell’est. «Non è cambiato niente» ha detto Iyad Shurbaji, un giornalista siriano a Damasco «la violenza è aumentata, i carri armati sono ancora nelle strade e nemmeno una barricata è stata rimossa. Il regime non ha intenzione di realizzare l’accordo. Si sta cercando di guadagnare tempo per schiacciare la rivolta».
Il rischio di una guerra civile è nel Paese sempre più alto. Sarebbe già attivo nel Paese un esercito parallelo antigovernativo, il “Syria Free Army” le cui capacità reali rimangono ancora poco chiare. Un membro del gruppo armato ha però avvertito oggi che se il regime persisterà nella repressione loro saranno obbligati «a proteggere i manifestanti».
Il segretario generale della lega Araba, Nabil al Arabi, ha ricevuto nel pomeriggio una delegazione del Consiglio nazionale siriano (Cns), con i maggiori gruppi di opposizione al regime. Un membro del Cns ha detto: «Abbiamo informato al Arabi che la delegazione ministeriale araba dovrà seguire costantemente la realizzazione del piano di pace. Gli abbiamo anche riferito le nostre lamentele in merito alla mancanza di credibilità del regime per quanto riguarda le promesse non mantenute».
Dopo sette mesi di rivolta popolare e di repressione (l’Onu parla di almeno 3mila morti), la Siria del presidente Bashar al-Assad aveva concordato ieri pomeriggio al Cairo con i 22 Paesi che compongono la Lega Araba un piano in quattro punti per ritirare i carri armati e le forze di sicurezza dalle città, liberare i detenuti della rivolta in carcere dalla metà di marzo, aprire il Paese agli osservatori della Lega araba e ai media internazionali, mettere fine a tutti gli atti di violenza.
L’opposizione aveva dimostrato da subito molte perplessità: «Il regime è stato costretto ad accettare, ma dubitiamo che attui l’accordo» aveva detto ad al Jazeera Bassam Jarrah, portavoce del Consiglio nazionale siriano. La giornata di oggi sembrerebbe dargli ragione.