I mostri e i fantasmi dell’Asia
Le storie paurose e i miti raccontati dalla tradizione in India, Cina e Giappone, vampiri compresi
di Matteo Miele, Royal University of Bhutan
Raramente l’Asia, se non per qualche horror di successo, viene associata nell’immaginazione occidentale a una terra di fantasmi. La Scozia, l’Irlanda, l’Inghilterra sono ottime località per disegnare scenari tenebrosi, magari in castelli nella brughiera. Gli spiriti sembrano trovarsi a loro agio nelle sale vittoriane. La narrazione popolare però, anche in Estremo Oriente e nell’Asia meridionale, ha fatto nascere storie e miti che da millenni scortano i ragionamenti più profondi dell’universo induista, buddhista, scintoista o del pensiero taoista e confuciano.
Nello Xi You Ji (Viaggio in Occidente), uno dei grandi classici della letteratura cinese, scritto circa cinque secoli fa da Wu Cheng’en, i monaci (strani monaci per la verità, tra di essi c’è anche l’amato scimmiotto Sun Wukong), nel loro cammino verso Ovest alla ricerca delle scritture buddhiste, si imbattono costantemente in mostri e fantasmi che li cercano per un aiuto o, più spesso, per cibarsi del capo della spedizione. Come per la Cina, anche tutto il Subcontinente indiano si eclissa tra le leggende di spiriti. Nascono storie inesplicabili che si rimescolano nella mitologia induista. Spesso sono vampiri. Tra i libri più importanti del genere c’è l’antico Baital-Pachisi (vetālapañcaviṃśati). Il testo venne tradotto dal sanscrito all’inglese da Sir Richard Francis Burton (lo stesso che cercava le sorgenti del Nilo e, quasi arrivato, si giocò il primato per pochissimo) e pubblicato nel 1870 con il titolo di Vikram and the Vampire.
Uno degli stati indiani che nasconde nelle sue giungle la genesi di tante leggende è l’Assam, nel Nord-Est. L’Assam si corica delicatamente sulle colline che anticipano l’Himalaya, poco più a nord, nel confinante regno del Bhutan. È l’ultimo lembo orientale del mondo indoario. Salgari ci aveva ambientato un suo racconto, Il bramino dell’Assam, e lo aveva fatto diventare il regno di Yanez de Gomera, che aveva sposato Surama, sovrana dell’Assam. Per secoli indipendente, avendo resistito finanche alle invasioni moghul, il paese cadde sotto la dominazione britannica negli anni ’20 dell’Ottocento e poi diventò, appunto, uno stato dell’India. Nei villaggi si racconta di strane creature con la testa di un cavallo che si nutrono di pesci che prendono dai pescatori. Poi ci sono degli omini, forse folletti, che gettano oggetti ai passanti e si nascondono nel bambù. Inoltre spiriti che nella notte si presentano su dei cavalli. Le assidue similitudini con il folklore celtico rivelano la comune origine indoeuropea di queste storie.
Ancora più a Oriente, anche in Giappone, ci sono i fantasmi. Come nel resto del continente, ce ne sono di ogni tipo, ma forse i più singolari sono gli ikiryō. Questi hanno una caratteristica peculiare: sono ancora vivi. Lafcadio Hearn ci consegna il resoconto di una leggenda sugli ikiryō. Racconta di un giovane, il nipote dell’impiegato di un certo Kihei, che si era ammalato perché perseguitato dall’ombra di una donna. Alle domande dello zio, il giovane spiegò che in realtà, quell’ombra, era la moglie di Kihei, ancora viva e vegeta. La donna, non fidandosi del giovane, era arrivata a odiarlo e la sua rabbia aveva portato all’ikiryō. Il ricco Kihei, per trovare una soluzione, dovette trasferire i due in un’altra città. (Lafcadio Hearn, Kottō, 1910). Anche con i fantasmi, l’originalità e i paradossi giapponesi rimangono indenni.
In Oriente i fantasmi si scompongono in frammenti che lasciano raccontare, a volte con ironia, come nei casi dello Xi You Ji, millenni di storia. Una storia che deve confrontarsi quotidianamente con il mito.
foto di: goosmurf