Il testo Ichino sul lavoro
Che cosa c'è nel disegno di legge che fa discutere maggioranza e opposizione
La lettera inviata la settimana scorsa dal Governo alle istituzioni europee conteneva molti generici impegni, e uno di questi negli ultimi giorni ha fatto molto agitare l’opposizione e i sindacati. Il Governo si è impegnato ad approvare, entro marzo del 2012, “una riforma della legislazione del lavoro funzionale alla maggiore propensione ad assumere e alle esigenze di efficienza dell’impresa anche attraverso una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti di lavoro a tempo indeterminato”. La lettera non fornisce ulteriori dettagli sul progetto, rimanendo quindi su un livello molto generico. L’idea è stata molto contestata dei sindacati, secondo cui le norme proposte minacciano la «coesione sociale». Le stesse cose sono state dette dal Partito Democratico e da buona parte dell’opposizione.
Oggi si continua a parlare di lavoro e licenziamenti ma il discorso ha subito qualche importante evoluzione. Il governo continua a non fornire particolari dettagli ai suoi progetti. Il ministro Sacconi ieri in televisione ha detto che si rischia un ritorno al terrorismo e alla violenza armata, facendo riferimento agli attentati letali contro i giuslavoristi Massimo D’Antona e Marco Biagi. Qualche informazione è stata fornita però da Silvio Berlusconi, ed è stata particolarmente spiazzante sia nel metodo che nel merito. Intervenendo telefonicamente a Canale 5, sabato scorso il PresdelCons ha detto che «la strada è quella indicata al Senato da un senatore dell’opposizione: il giuslavorista Ichino». Pietro Ichino è uno dei più famosi giuslavoristi italiani, è senatore del Partito Democratico e, in ragione delle molte minacce di morte ricevute, vive sotto scorta da alcuni anni.
La proposta di cui parlava Berlusconi è il disegno di legge n. 1873, presentato nel 2009 da Ichino e firmato da 54 senatori del Partito Democratico (la maggioranza del gruppo al Senato). Finora non è stato mai discusso in aula, anche se nel corso dei mesi il Terzo Polo gli ha garantito il suo sostegno e un anno fa il Senato a maggioranza ha impegnato il Governo a varare una riforma modellata su quel disegno di legge.
Ieri Ichino era su tutti i giornali. Libero pubblicava una sua lettera. Il Giornale, il Messaggero, il Tempo, il Mattino e il Tirreno lo intervistavano. Nella lettera pubblicata da Libero, Ichino spiegava che metà dei lavoratori italiani non hanno alcuna protezione in caso di perdita del posto di lavoro: i precari, i lavoratori a progetto, le “partite IVA fasulle”. E che anche la metà protetta non se la passa bene.
C’è bisogno di una profonda riforma anche per la metà protetta. Perché anche la vecchia protezione forte contro il licenziamento – il famoso articolo 18 dello Statuto del 1970 – è molto difettosa. Essa di fatto consiste in una sorta di ingessatura del rapporto di lavoro; ma quando viene l’acquazzone anche il gesso si scioglie, e anche il lavoratore protetto dall’articolo 18 si trova con un pugno di mosche in mano.
Ichino dice di voler superare la dicotomia tra lavoratori garantiti e lavoratori non garantiti: la riforma descritta nel suo progetto di legge, nella parte che riguarda i licenziamenti, si applica solo alle nuove persone in ingresso nel mondo del lavoro, e non a chi ci si trova già. Una volta varata, quindi, una riforma del genere non inciderebbe nelle condizioni dei cosiddetti lavoratori garantiti, modificando lo status dei nuovi lavoratori e l’assetto del futuro mercato del lavoro italiano, e creando di fatto condizioni paritarie tra tutti (non solo nel lavoro, a quel punto, ma anche per esempio nell’accesso al credito).
In sostanza si tratta di questo: un codice del lavoro semplificato, composto di una settantina di articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente. Così si supera il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. L’idea è che, in partenza, questo nuovo “diritto del lavoro unico”, per la parte relativa ai licenziamenti, si applichi soltanto ai rapporti di lavoro nuovi, che si costituiscono da qui in avanti. La nuova disciplina si può sintetizzare così: tutti a tempo indeterminato (tranne, ovviamente, i casi classici di contratto a termine, per punte stagionali, sostituzioni temporanee, ecc.), a tutti le protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. E a chi perde il posto una garanzia robusta di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità. Quello che l’impresa risparmierà in termini di tempestività dell’aggiustamento degliorganici basta e avanza per coprire il costo di una assistenza alla danese nel mercato del lavoro.
I lavoratori avrebbero tutti lo stesso contratto, a tempo indeterminato e tutele crescenti nel tempo: e da subito tutti con ferie, malattia, tredicesima e tutte le garanzie dei contratti a tempo indeterminato. Il “nessuno inamovibile” implica di fatto il superamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che stabilisce che le aziende con più di 15 dipendenti possano licenziare soltanto per giusta causa. I lavoratori licenziati sarebbero sostenuti con sussidi che permettano la “continuità del reddito” fino al reperimento di una nuova professione e con investimenti in formazione. È il famoso modello della flexsecurity, già in uso con profitto in molti paesi europei.
La lettera inviata quest’estate dalla BCE al Governo chiedeva di sostituire il reintegro del dipendente in caso di licenziamento ingiustificato con un risarcimento economico, come è già previsto per le imprese con meno di 15 dipendenti (e come funziona nella maggior parte dei paesi europei). L’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori riguarda più o meno la metà dei lavoratori italiani, quelli delle aziende con più di 15 dipendenti: secondo l’ISTAT sono 300.000 su 4,4 milioni di imprese. In tutte le altre aziende l’articolo 18 non vale: i lavoratori possono essere licenziati in cambio di un indennizzo economico, e non godono di reti di protezione e formazione come prevederebbe la riforma Ichino.
Ichino ha detto che il Governo merita di essere appoggiato se vorrà sostenere questo piano, purché lo faccia anche «nei dettagli». Nonostante qualche sporadica apertura, i sindacati si sono sempre espressi con contrarietà alla proposta del contratto unico per tutti. Il responsabile economico del PD, Stefano Fassina, ieri ha detto che Pietro Ichino parla «a titolo personale», nonostante la sua proposta di legge fosse stata sostenuta e firmata dalla maggioranza del gruppo del PD al Senato e trovi oggi il sostegno di molti esponenti del partito (ma non della maggioranza che ha vinto il congresso nel 2009).
foto: LaPresse