Cambia qualcosa in Colombia?
Le elezioni locali hanno visto il successo di candidati indipendenti e società civile, a cominciare da Bogotà
di Andrea Leoni
Ieri, 30 ottobre, si sono svolte le elezioni amministrative in Colombia. Di rilevante interesse, sia per il potere politico che si è concentrato a Bogotà, la capitale, sia per le violenze che hanno condizionato la campagna elettorale: ben oltre 40 candidati sono stati assassinati, oltre a numerosi agenti di polizia. A Bogotà, con il cambio di presidenza si era passati dal filo-americano Alvaro Uribe a Juan Manuel Santos, (uno dei creatori del Partito sociale di unità nazionale) che è alla ricerca di nuove alleanze estere. Le violenze, che sono in aumento sia a Bogotà ma soprattutto nelle province e che ad inizio settembre avevano portato alle dimissioni del ministro della Difesa, sono rivendicate sia dalle FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, l’esercito clandestino di ispirazione marxista) ma anche, fenomeno di preoccupante rilevanza in Messico, da semplici bande armate organizzate denominate BACRIM (sempre più in crescita) che gestiscono il narcotraffico, le quali da tempo avevano preparato il loro ingresso in politica.
A uscirne vittoriosi, secondo El Tiempo (quotidiano di ispirazione liberale) sarebbero stati il Partido de la U e il Partido Liberal, che se non hanno vinto come prima forza, hanno appoggiato da gregari i candidati dei movimenti indipendenti eletti. Ma l’evento del giorno è stata l’elezione a sindaco di Gustavo Petro a Bogotà che con il suo partito progressista è stato l’emblema secondo il quotidiano El Espectador della sconfitta dei vecchi partiti a favore dei candidati indipendenti, avvenuta in numerose circoscrizioni. Petro ha preso 721 mila voti e il 32% (ben oltre ogni previsione) lasciando circa 10 punti percentuali indietro (più di 100mila voti) il candidato Enrico Penalosa Londono (appoggiato dal presidente Santon nella coalizione Partido de la U e Partido Verde). Gustavo Petro fu combattente nel “Movimiento 19 de Abril”, l’organizzazione che fino agli anni 90 rivendicava una maggiore democrazia in Colombia anche con l’ausilio della lotta armata, sotto la sigla M-19. Per la collusione con il movimento dovette scontare due anni di carcere e successivamente, insieme al suo compagno Carlos Pizarro Leongomez, fu tra gli ideatori del primo processo di pace riuscito in Sudamerica tra l’organizzazione militare e il governo Belisario Betancourt.
A dispetto delle previsioni, la giornata elettorale è scorsa relativamente tranquilla (il presidente colombiano aveva previsto l’intervento di migliaia di agenti delle forze di sicurezza) e hanno votato 16,4 milioni di persone. L’influenza delle organizzazioni illegali in politica, anche se diminuita, ha avuto un ruolo anche nelle votazioni di ieri, e le bande armate hanno presidiato o cercato di sabotare alcuni seggi elettorali. Come dice El Espectador, la Colombia “non è un paese con una cultura politica, perché l’astensione è ancora vicino al 50%, ma con le vittorie dei movimenti civici e di leader non tradizionali […] dimostra che la società civile sta prendendo forma a beneficio della Colombia. Ora è una tabula rasa, una nuova mappa politica e, piaccia o no, già si inizierà a gareggiare per il prossimo incontro: le elezioni presidenziali e parlamentari nel 2014.”