Cosa c’è nella biografia di Steve Jobs
Cose che sapevate e cose che non sapevate, dalle mele a Joan Baez, dalle droghe alla puzza, a chi copiò tra lui e Gates
La biografia di Steve Jobs uscita lunedì in tutto il mondo e scritta dal giornalista Walter Isaacson è ricchissima di aneddoti e testimonianze sulla vita del fondatore di Apple, dentro a un ritratto complessivo fondato soprattutto sulle asprezze e difficoltà del suo carattere.
La mela
Jobs dice a Isaacson che la leggenda per cui la scelta del nome avrebbe a che fare con la mela che uccise Alan Turing è falsa. Fu scelto per la sua familiarità e perché Jobs aveva lavorato alla raccolta delle mele in California: «Inoltre, sarebbe venuto prima di Atari nell’elenco telefonico».
Il Macintosh invece prese il nome dal tipo di mela preferita del responsabile del progetto Jef Raskin, che riteneva sessista usare un altro nome di donna, “Annie”. Il nome Macintosh sopravvisse alla successiva intenzione di Jobs di ribattezzare il progetto “the bycicle”, raro caso in cui Jobs non l’ebbe vinta: «Pensammo fosse la più gran cazzata che avevamo mai sentito e ci rifiutammo categoricamente», hanno spiegato i suoi ingegneri.
La famiglia naturale
Jobs a un certo punto ha voluto conoscere la sua madre naturale, e sua sorella Mona Simpson (scrittrice, che lo ha descritto nel romanzo A regular guy con cui è poi rimasto in affettuosi rapporti). Non ha mai voluto incontrare suo padre, anche se Mona ha ricostruito che i due si incontrarono una volta al ristorante dove il padre lavorava, e si strinsero la mano, senza sapere di essere padre e figlio.
L’Italia
Ci sono occasionali incontri con l’Italia di Jobs, basati soprattutto sulla sua passione per il design.
A sedici anni si comprò una Fiat 850 coupé rossa con motore Abarth, che successivamente prese fuoco. A diciannove anni la Atari lo mandò per un giro di lavoro in Europa: «Passai due settimane meravigliose a Torino, che è una città industriale piena di vita».
Si parla in più di un’occasione della pietra da pavimentazione che Jobs scoprì a Firenze e che volle usare per gli Apple Store, commissionandola alla cava “Il Casone”.
Nel 1984, durante un viaggio per Apple, “prese in antipatia il direttore generale della Apple in Italia”, “un tipo molle e grassoccio che veniva dall’industria. «Non meriti il privilegio di vendere il Mac», gli disse, tagliente”.
L’espulsione da Apple
Nel racconto di Isaacson, è difficile non condividere le ragioni del consiglio di amministrazione e di John Sculley che nel 1985 allontanarono Jobs da Apple, in nome della sua inclinazione a complicare il lavoro della società e diffondere tensioni e frustrazioni. Anche se quella esclusione privò Apple del suo genio con conseguenze catastrofiche.
Steve Wozniak
Come è noto, Wozniak è il vero inventore della tecnologia da cui nacquero i successi di Apple: è descritto come timido, umile e di poca ambizione, e anche lui ingannato e scaricato da Jobs, ma senza rancore. Anche se il primo inganno – una parte di soldi che gli sarebbero spettati, e che pare Jobs gli nascose – avvenne già quando i due erano agli inizi della loro complicità.
Con la loro prima invenzione creata assieme (intuizione di Jobs, tecnologia di Wozniak, come sempre), un apparecchio per telefonare gratis, chiamarono il Vaticano e Wozniak si finse Henry Kissinger che voleva parlare con il Papa. “Gli risposero che erano le cinque del mattino e il Papa stava dormendo”.
LSD eccetera
Jobs ha rivendicato tutta la vita quanto l’uso di droghe durante la sua giovinezza gli abbia aperto la mente, di fatto proponendola come esperienza illuminante per tutti: «Prendere l’LSD fu un’esperienza profonda, una delle più importanti della mia vita (…) L’LSD ha rafforzato in me la gerarchia dei valori».
Quando Jobs presentò iTunes in un’intervista al New York Times, descrisse così gli effetti grafici che Apple aveva associato alla musica: «Mi ricorda quando ero giovane». “L’assunzione di LSD era tra le due o tre cose più importanti che aveva fatto nella sua vita, disse a Markoff (il giornalista, ndr): chi non si era mai fatto di acido non lo avrebbe mai capito fino in fondo…”
Il sudicio Jobs
Per buona parte del libro, quella dedicata alla giovinezza di Jobs e alla nascita di Apple, tutte le testimonianze di chi lo incontrò ed ebbe a che fare con lui concordano su una cosa: puzzava terribilmente. È la prima cosa che ricordano tutti: in particolare il viaggio in India e l’ossessione vegana (che lo aveva convinto che se mangi solo frutta e verdura il tuo corpo non odora) lo avevano indotto a lavarsi pochissimo, stare spesso scalzo, e a trascurare il proprio aspetto. Grandi investitori o capaci manager scapparono inorriditi dalle prime visite al garage o lo cacciarono quando lui metteva i piedi sulle loro scrivanie. Altri privilegiarono il genio, ma con la stessa sgradevole impressione sull’igiene personale.
Musica
C’è la passione per Bob Dylan in tutta la vita di Jobs, malgrado più volte abbia detto di non stimare i dischi successivi a Blood on the tracks. Lo incontrò nel 2004 e lo trovò ancora “intelligentissimo”.
Durante il corteggiamento di John Sculley, manager della Pepsi Cola che sarebbe poi venuto in Apple dove divenne protagonista di una guerra con Jobs che si concluse con la cacciata di quest’ultimo, Jobs lo portò al negozio Colony Records di Manhattan dove gli mostrò “i dischi dei suoi musicisti preferiti, come Bob Dylan, Joan Baez, Ella Fitzgerald e i jazzisti di Windham Hill”.
La prima prova dello spot “Think Different” prevedeva l’uso della canzone Crazy di Seal, ma Apple non riuscì a ottenerne i diritti.
Joan Baez
Il fidanzamento con Joan Baez, lui aveva 27 anni e le i 41, è ricordato come sbilenco da tutti e due. Lei non sapeva quasi niente delle cose di cui si occupava lui, lui era miliardario e probabilmente fiero di condividere una fidanzata con Bob Dylan. Lei ricorda ancora stupefatta di quando la portò in un negozio costosissimo a mostrarle un vestito che secondo lui le sarebbe stato benissimo, e una volta là le suggerì di comprarselo. Lei disse che non poteva permetterselo, e lui non fece neanche l’offerta di regalarglielo e vennero via.
Ron Wayne
Era un ingengnere che Jobs conobbe in Atari e coinvolse nella fondazione di Apple, con una quota del 10%: ma dopo dieci giorni ebbe paura della responsabilità e uscì precipitosamente con una “dichiarazione di recesso”. Spiega Isaacson: “Se fosse rimasto alla fine del 2010 avrebbe avuto un capitale di 2,6 miliardi di dollari. Invece alla fine del 2010 viveva da solo in una casetta di Pahrump, nel Nevada, dove giocava alle slot machine da un penny e si manteneva con l’assegno della previdenza sociale”.
Lisa
A 23 anni Jobs si rifiutò di riconoscere la figlia avuta da Chrisann Brennan, l’unica cosa su cui nel libro ammette di essersi comportato male. Brennan gli fece causa, la Apple stava decollando e i suoi collaboratori erano preoccupati, così si fece una prova del DNA che gli diede torto e lui consentì protestando a un accordo. Ma la questione rimase un tabù imbarazzato per chi lo frequentava (Jobs avrebbe recuperato anni dopo, con le difficoltà del caso, un rapporto con sua figlia Lisa): così quando per il nuovo computer Apple Jobs propose un nome “che avrebbe fatto sgranare gli occhi anche al più annoiato degli psichiatri” – Lisa – in Apple si inventarono un falso acronimo per giustificarlo in pubblico: “Local Integrated System Architecture”.
Preferenze
Nel 1983 «i candidati a entrare nel team del software dovevano giocare a Defender, il videogioco preferito di Jobs».
Anni fa Jobs raccontò della difficilissima scelta degli elettrodomestici per la casa con sua moglie Laurene (la sua casa precedente non aveva mai avuto mobili, perché non si era mai deciso in una scelta): alla fine comprarono una lavatrice e un’asciugatrice Miele: «Mi hanno dato più emozioni questi due elettrodomestici di qualsiasi altro pezzo di tecnologia abbia visto negli ultimi anni».
La vecchia casa disadorna di Jobs, la tennero anche dopo il trasloco e la fecero usare ai coniugi Clinton durante la presidenza quando venivano a trovare la figlia che studiava a Stanford. Allora Laurene noleggiava dei mobili per loro. Una volta mentre ispezionava la casa prima del loro arrivo si accorse che mancava un quadro e chiese agli agenti dei servizi segreti se ne sapessero qualcosa, era il tempo dello scandalo Lewinski: uno di loro spiegò che il quadro raffigurava un abito appeso e avevano ritenuto di toglierlo.
Copiare
È storia nota, ma Isaacson ricostruisce bene. L’idea dell’interfaccia grafica nacque nel centro di ricerca e sperimentazione della Xerox a Palo Alto (lo Xerox PARC). Quando Xerox si offrì di entrare nel capitale di Apple, nel 1979, Jobs e i suoi accettarono a patto che venissero mostrati loro i progetti del PARC. Jobs disse poi che a Xerox non avrebbero mai avuto la mentalità giusta di proseguire e sfruttare quella strada, cosa che invece fece con successo storico Apple. Salvo poi venire a sua volta copiata da Microsoft per Windows: Gates ha infatti sempre ripetuto che tutti e due copiarono da Xerox, anche se i geni di Apple svilupparono l’idea con qualità straordinariamente maggiore. In una riunione in Apple con altri dipendenti, Jobs accusò Gates di averlo derubato e Gates rispose: «Be’, Steve, penso che ci sia più di un modo per guardare alla faccenda. Io penso che entrambi abbiamo questo ricco vicino di casa, un certo Xerox, e io sono entrato di nascosto in casa sua per rubare il televisore. Ma mi sono accorto che l’avevi già rubato tu».
Nelle parole di Jobs citate alla fine del libro di Isaacson, però, c’è un grande e ammirato rispetto per Bill Gates.
Approccio
«Diversamente da altri sviluppatori di prodotti, Jobs non credeva che il cliente avesse sempre ragione (…) Jobs anteponeva la sua passione per la creazione di un grande prodotto al desiderio di soddisfare il cliente»
Finale
«Forse si tratta solo di un pulsante on/off. “Clic”, e te ne vai. Forse è per questo che non mi è mai piaciuto mettere pulsanti on/off sugli apparecchi Apple»
Foto: YASUYOSHI CHIBA/AFP/Getty Images