In Canada i link non sono diffamazione
La Corte Suprema ha stabilito che non sono perseguibili i siti che linkano a contenuti diffamatori
La Corte suprema del Canada ha stabilito che i link verso contenuti diffamatori pubblicati online non costituiscono diffamazione. La sentenza è di mercoledì e, benché sia confinata nella realtà canadese, è un nuovo importante passo avanti nella definizione di ciò che è lecito o meno nella pubblicazione di contenuti sul Web, materia ancora molto sfumata e di recente al centro di numerose polemiche in Italia per i provvedimenti sull’obbligo di rettifica.
All’unanimità, i giudici della Corte hanno deciso di respingere la richiesta di danni per diffamazione presentata da Wayne Crookes, un ex manager della campagna elettorale del Partito dei Verdi, e dalla sua società West Coast Title Search nei confronti di Jon Newton, il proprietario di un sito web. Contro Newton era stata presentata una causa legale in seguito alla pubblicazione online di un articolo nel 2006, che secondo l’accusa rimandava a un altro sito che conteneva materiali diffamatori nei confronti di Crookes. L’azione legale fu avviata dopo che Newton si rifiutò di rimuovere i link.
Newton si difese spiegando che sul proprio sito non era stato pubblicato nulla di diffamatorio, nemmeno un commento. Secondo gli avvocati di Crookes, la semplice creazione dei link verso quei contenuti aveva facilitato la diffusione della diffamazione, aggiungendo che Newton avrebbe dovuto controllare con più attenzione. Per i legali di Newton, invece, non c’era stata alcuna diffamazione perché i link non implicavano la condivisione dei pensieri espressi nell’articolo sull’altro sito.
La Corte suprema ha dato ragione alla tesi della difesa, stabilendo che un link non può essere considerato una “pubblicazione” vera e propria del contenuto cui fa riferimento. Nella motivazione, i giudici hanno poi aggiunto che definire come un editore chi inserisce un link in un proprio testo porterebbe a gravi conseguenze per la libertà di parola e di pensiero online. «Su Internet non si può dare accesso alle informazioni senza un link» ha spiegato il giudice Rosalie Abella, aggiungendo che «normare l’uso dei link usando le regole delle pubblicazioni tradizionali avrebbe un pesante effetto nel limitare il flusso di informazione e, di conseguenza, di libertà di espressione».
Nel timore di incorrere in una causa per diffamazione, scrivono i giudici, l’autore di un testo potrebbe autocensurarsi evitando di inserire un link verso un altro contenuto, sul quale non può avere alcun controllo. Questo ridurrebbe la diffusione delle informazioni e la loro possibilità di essere reperite. Secondo la Corte suprema canadese, i link devono essere considerati alla stregua delle note a piè di pagina: comunicano l’esistenza di qualcos’altro, ma non necessariamente ne comunicano o condividono il contenuto salvo non sia espresso esplicitamente dall’autore.
La sentenza aggiunge poi che chi clicca su un link lascia una fonte di informazione per approdare su un’altra. Se il sito raggiunto in un secondo momento contiene materiale diffamatorio, la responsabilità dell’illecito deve ricadere sul suo autore e non sulla persona che ha rimandato con un link a quel contenuto.