Marcegaglia risponde a Giavazzi
In una lettera al Corriere della Sera, piuttosto seccata delle accuse di ieri
Ieri l’economista e collaboratore del Corriere della Sera Francesco Giavazzi aveva scritto un severo commento sulle presunte responsabilità di Confindustria nelle difficoltà economiche italiane.
Non è la mancanza di infrastrutture a impedirci di crescere – almeno non in primo luogo – ma i mille interessi particolari che da decenni impediscono le riforme. E Confindustria è uno di questi
Emma Marcegaglia, presidente dell’associazione, ha scritto in risposta una lunga lettera pubblicata sul Corriere oggi.
Caro direttore,
abbiamo appreso ieri dal «Corriere della Sera» che a impedire le riforme più che mai necessarie nel nostro Paese è Confindustria. La tesi illustrata nell’editoriale di Francesco Giavazzi è che Confindustria rappresenta infatti interessi corporativi, che frenano le riforme perché interessati a difendere la codecisione con il governo improntata al do ut des . La seconda tesi è che in questo fronte corporativo «comandino» le imprese pubbliche. Il terzo argomento, a conferma, è che sull’articolo 8 della manovra estiva Confindustria avrebbe aggirato e limitato la norma governativa, colludendo con i sindacati perché corporazione difende corporazione, ed entrambe hanno a cuore se stesse e non l’Italia. Fosse vero, sciogliamo Confindustria e l’Italia procederà a vele spiegate. Ma non è vero affatto. Non è vero per niente.
Vengo subito al nocciolo del problema. Tanto poco Confindustria persegue il modello della «concertazione», che in questi ultimi tre anni ha operato strappi sia con una parte del sindacato, sia con governo e politica. Per anni, in passato, era prevalsa l’idea che senza consenso di tutti i sindacati non fosse possibile mutare in profondità gli assetti contrattuali. Al contrario, a inizio 2009, Confindustria ha deciso di cambiare marcia. Occorreva più produttività in cambio di più salario, in un Paese a crescita piatta da oltre un decennio. Una parte del sindacato è stata d’accordo con noi, un’altra no. Ci siamo esposti a due anni di polemiche violentissime con Cgil e Fiom, ma nel conflitto abbiamo delineato nuove regole per contratti nazionali derogabili prima, e per intese aziendali poi. Per effetto di questo strappo, ogni impresa italiana è oggi libera di scegliere a seconda delle proprie esigenze, settore e dimensioni, tra tre strade diverse: contratto nazionale, modifiche contrattate all’intesa nazionale, e intese aziendali. Dopo due anni e mezzo, la Cgil ha firmato con noi a fine giugno le nuove regole per le intese aziendali. Senza il nostro strappo, neanche la Fiat avrebbe mai potuto aprirsi la strada per le intese di stabilimento a Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco.
(continua a leggere su Corriere.it)