La discussa intervista a Shalit
La tv di stato egiziana l'ha intervistato prima ancora che avesse rivisto la sua famiglia, e Israele non l'ha presa bene
Ieri, subito dopo la sua liberazione e prima ancora di avere visto la sua famiglia, Gilad Shalit è stato sottoposto a un’intervista esclusiva da parte della televisione di stato egiziana, l’unica testata autorizzata ad assistere alla liberazione del soldato israeliano. Shalit ha risposto alle domande a fatica, mostrando evidenti segni di debolezza, ma l’intervista è comunque andata avanti per circa dieci minuti. Le autorità israeliane hanno accusato la televisione di stato egiziana di essersi approfittata di un momento così delicato per cercare di fare propaganda al proprio governo e al ruolo avuto durante la mediazione con Hamas. L’opinione pubblica egiziana ha a sua volta contestato l’episodio accusando la rete pubblica di essersi concentrata esclusivamente su Shalit e di avere ignorato le storie delle centinaia di prigionieri palestinesi liberati ieri nello scambio.
La televisione di stato egiziana e la giornalista che ha condotto l’intervista si sono difesi dicendo che si è trattato di un’esclusiva che qualsiasi testata giornalistica non si sarebbe lasciata scappare. «Quando uno scoop come questo ti viene incontro, quando hai l’occasione di intervistare in esclusiva una persona di cui fino a quel momento c’erano solo poche foto, non puoi non coglierla», ha detto il direttore della rete Kahled Mehanna. La giornalista Shahira Amin ha precisato che la richiesta ufficiale per l’intervista è stata autorizzata all’ultimo minuto direttamente dal ministero dell’Informazione egiziano e che lei stessa aveva chiesto a Shalit il suo consenso: «Se mi avesse detto di no, non l’avrei fatta», ha detto.
Gilad Shalit è stato intervistato in inglese ma ha sempre risposto in ebraico attraverso un traduttore seduto al suo fianco. Le sue risposte sono state spesso esitanti al punto che uno dei militari al suo fianco ha dovuto chiedere alla giornalista di fare una domanda alla volta per non affaticarlo troppo. Shahira Amin ha risposto che stava già riducendo il numero di domande previste perché si rendeva conto che Shalit era molto stanco. L’intervista non è stata trasmessa in diretta, ma è comunque andata in onda subito dopo senza nessuna modifica.
Al di là della banalità di alcune domande – “Che cos’hai provato quando hai saputo che ti avrebbero liberato?” – le autorità israeliane se la sono presa per l’insistenza con cui la giornalista ha chiesto a Shalit di valutare il ruolo avuto dall’Egitto nella mediazione con Hamas e che cosa pensasse delle migliaia di palestinesi ancora detenuti nelle carceri israeliane. Shalit ha risposto che l’Egitto è riuscito nella mediazione perché ha buoni rapporti con entrambe le parti e che spera che tutti i palestinesi possano tornare dalle loro famiglie. «Santo cielo!», ha detto Amin al New York Times «i tentativi di mediazione sono andati avanti per anni e avevano tutti fallito finora! Questo è stato un successo, diamo credito a chi se lo merita».
Shahira Amin era diventata nota al di fuori dell’Egitto lo scorso febbraio quando aveva dato le dimissioni dalla televisione di stato in contrasto con il regime di Mubarak. Di fronte alle accuse di ieri si è giustificata dicendo che le sembrava giusto ricordare che ci sono ancora migliaia di prigionieri palestinesi in carcere e che il ministero dell’Informazione ci teneva molto ad avere questa intervista per recuperare credibilità in seguito alle accuse seguite al massacro dei cristiani copti dello scorso 9 ottobre. Al momento però la scelta sembra avere sortito soltanto l’effetto opposto. Da quello che si legge dai commenti sul sito, la maggior parte delle persone si lamenta del fatto che la tv di stato egiziana abbia dedicato così tanto tempo al soldato israeliano e così poco spazio ai prigionieri palestinesi liberati. «Che cos’è questo?», si legge in un commento «i nostri media parlano di un soldato dell’esercito che uccide i nostri soldati?».
Safwat el-Alim, professore di comunicazione politica all’Università del Cairo, ha detto che la televisione di stato non avrebbe mai rinunciato alla possibilità di promuovere l’immagine del governo egiziano, e che per questo ha sottovalutato il fatto che intervistare Shalit quando ancora di fatto non era tornato libero avrebbe potuto condizionare la sincerità delle sue risposte.