Nuove repressioni in Yemen
Negli ultimi due giorni il governo di Saleh ha ucciso almeno trenta persone in tutto il paese
Le forze di sicurezza fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh hanno sparato sui manifestanti antigovernativi che stavano protestando nelle strade della capitale dello Yemen, Sana’a. Al Jazeera riporta che almeno dodici persone, quattro manifestanti civili e sette militari che appoggiano la rivoluzione, sono stati uccisi. Diverse decine di persone sono rimaste ferite.
Secondo i resoconti dei testimoni riportati da Al Jazeera e Associated Press, cecchini sui tetti degli edifici hanno sparato sulle decine di migliaia di manifestanti, che stavano protestando per le strade chiedendo le dimissioni del presidente yemenita. La Guardia Repubblicana, un’unità fedele a Saleh e comandata da suo figlio Ahmed, ha lanciato fumogeni sui dimostranti. Vicino a “Piazza del Cambiamento”, come i manifestanti hanno ribattezzato la piazza centrale che è il luogo principale della protesta, sono avvenuti anche scontri tra le truppe governative e quelle dell’ex generale dell’esercito yemenita Ali Mohsen al-Ahmar, che ha disertato e appoggiato la protesta alcuni mesi fa. Anche nella città meridionale di Taiz le forze governative hanno represso una manifestazione di protesta, uccidendo una donna e ferendo una decina di persone.
Anche durante la giornata di ieri ci sono stati scontri violenti nel corso di una grande manifestazione a Sana’a, a cui avrebbero preso parte 300.000 persone. Diciassette persone sono morte e centinaia sono rimaste ferite, in un attacco congiunto delle forze di sicurezza e di filogovernativi in abiti civili.
La situazione in Yemen
Le ultime violenze rendono sempre più difficile trovare una soluzione pacifica alla situazione yemenita. Dopo circa tre mesi in Arabia Saudita, per ricevere cure mediche in seguito a un attentato, il presidente Saleh è tornato nel paese alla fine di settembre. Nell’arco di pochi giorni la situazione, già tesa e insostenibile durante la sua assenza, è peggiorata fino a diventare una vera e propria guerra civile.
Saleh, al potere dal 1978, rifiuta di accettare una soluzione negoziata per la crisi. Anche se ha dichiarato più volte di essere disposto a lasciare il potere, ma i suoi annunci sono sempre apparsi poco credibili. Le proteste contro di lui proseguono da oltre nove mesi, ispirate dalle insurrezioni in Egitto e in Tunisia. La 32enne yemenita Tawakkul Karman, una delle personalità di primo piano nella protesta e membro del partito di opposizione al-Islah, ha vinto lo scorso 7 ottobre il premio Nobel per la pace, non senza suscitare alcune critiche per i legami tra al-Islah e l’estremismo religioso.
Lo Yemen è il più povero tra tutti i paesi arabi e ha una lunga storia di divisioni e conflitti interni. Il ceto dominante appartiene per la maggior parte alla popolazione sunnita, poco più del 50% della popolazione totale del paese, che abita soprattutto le aree relativamente più sviluppate delle coste meridionali e sudoccidentali. Nel nord montuoso, la minoranza sciita ha dichiarato l’indipendenza e da molti anni compie atti di guerriglia contro il governo centrale. Nelle province più arretrate e distanti dal controllo del governo centrale, Saleh ha una popolarità bassissima, e queste zone sono diventate una base molto importante di al-Qaeda negli ultimi anni, che ha approfittato dell’instabilità del paese per installarvi campi di addestramento come quelli presenti nelle zone tribali del Pakistan. Negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno avviato una sorta di “guerra segreta” contro i guerriglieri islamici nella regione, e dal 2006 hanno fornito 250 milioni di dollari in aiuti e sostegno militare al governo centrale.