La Birmania sta cambiando davvero?
Dopo l'amnistia degli scorsi giorni, in molti si chiedono se le concessioni del governo siano qualcosa di più di una mossa d'immagine
La decisione del governo birmano di concedere l’amnistia a più di 6000 prigionieri – tra cui anche ai detenuti politici – ha riaperto il dibattito su una possibile apertura democratica nel Paese, e qualche commentatore ha già iniziato a parlare di una probabile “primavera birmana” riferendosi ai movimenti che hanno portato alla caduta dei regimi in Egitto, Tunisia e Libia.
Il nuovo governo birmano si è insediato nel marzo del 2011 prendendo il posto della giunta militare che governava il paese dal 1962. Thein Sein è diventato così il primo civile a ricoprire la carica di presidente della Birmania dopo quasi cinquant’anni di regime gestito dai militari. Molti analisti di politica internazionale avevano spiegato che il cambio di governo era soltanto una farsa e che le cose sarebbero rimaste più o meno uguali: il governo era controllato dall’esercito e lo stesso presidente Sein aveva fatto parte della giunta militare e si era dimesso appositamente dalla carica di generale solo per poter partecipare alle elezioni.
Fatto sta, però, che dal momento dell’insediamento Sein ha messo in atto una serie di riforme piuttosto incisive e, come scrive in un articolo Foreign Policy, “i nuovi leader stanno mostrando una sorprendente insofferenza verso lo status quo e stanno cambiando il modo di governare il Paese. I politici e diplomatici occidentali dovrebbero mettersi a sedere, prendere nota di queste riforme – e soprattutto – dare una risposta”.
Oltre all’amnistia generale il presidente Sein ha incontrato alcuni dei suoi oppositori, tra cui il leader della Lega per la democrazia Aung San Suu Kyi, che ha avuto anche il permesso di allontanarsi dalla capitale Rangoon per un viaggio politico. Ha intrapreso dei gesti di apertura verso i gruppi etnici armati che combattono da decenni la dittatura, e ha firmato un accordo di pace preliminare con le etnie Wa e Mongla. Il rigido controllo del regime sulla libertà di espressione e sul diritto di associazione è stato allentato. Negli ultimi mesi il permesso per visitare il Paese viene concesso più facilmente e molte persone che sono andate recentemente in Birmania parlano di numerosi cambiamenti. Il viceministro degli Esteri norvegese Espen Barth Eide ha raccontato al Financial Times che il governo sta allentando il blocco a numerosi siti Internet e ha avanzato l’ipotesi di rivedere le politiche sulla censura. Alcuni dibattiti parlamentari sono stati mandati in onda in televisione e l’intensità della propaganda è diminuita.
A fine settembre l’organizzazione no-profit International Crisis Group ha pubblicato un rapporto dedicato alla situazione in Birmania che ha messo in luce i numerosi cambiamenti in ambito politico, economico e relativo ai diritti umani. Si tratta di passi avanti che oltrepassano le aspettative, come la decisione di sospendere la costruzione della diga Myitsone, che avrebbe attraversato il fiume Irrawaddy – una vera e propria icona della civiltà birmana – causando numerosi danni all’ambiente. Secondo il rapporto è evidente che il governo birmano sta cercando di uscire dal lungo isolamento internazionale.
Molte associazioni per i diritti umani hanno accolto con favore la notizia dell’amnistia generale, ma hanno chiesto radicali riforme in senso democratico e la fine dell’influenza dell’esercito nel governo. Secondo molti, infatti, l’amnistia è solo una mossa del presidente Thein Sein per ottenere la fine delle sanzioni sul traffico di armi e sugli investimenti imposte dagli Stati Uniti, e per veder riconosciuta la sua legittimità a livello internazionale. Foreign Policy sostiene che al di là degli intenti, il governo birmano abbia compiuto dei passi avanti che potrebbero provocare grandi cambiamenti e aperture nel Paese. Il processo è solo agli inizi, certo: va fatto ancora molto per risolvere le divisioni etniche, riconciliare il paese straziato dal conflitto armato, limitare la violenza dell’esercito, ristabilire le libertà civili, liberare tutti i prigionieri politici e concedere piena libertà ai mezzi di informazione.
La decisione del governo di concedere l’amnistia dimostra inoltre la volontà di andare incontro alle richieste dei governi occidentali, che da anni insistevano su questo punto. Secondo Foreign Policy i governi e le organizzazioni occidentali devono sfruttare la situazione e iniziare a fare delle pressioni sul governo birmano per ottenere maggiori riforme e aperture. Allo stesso tempo però devono iniziare a fare delle concessioni – come togliere le restrizioni agli aiuti e alla consulenza internazionali – per offrire una sponda ai riformatori e dimostrare che la loro è una strategia vincente. Limitarsi a osservare i cambiamenti positivi aspettandone degli altri equivarrebbe invece farsi sfuggire un’ottima occasione.