Gli sbagli della polizia a Roma
Carlo Bonini spiega le scelte compiute ieri per garantire la sicurezza
Su Repubblica Carlo Bonini, giornalista attentissimo alle vicende che hanno avuto protagonista la polizia nella recente storia italiana (e autore di un libro su questo tema, “Acab“), analizza le scelte compiute ieri rispetto alle violenze nella manifestazione di Roma.
In un giorno che sembra non debba finire mai, il questore di Roma Francesco Tagliente e il suo dispositivo di ordine pubblico conoscono la loro Caporetto. Il Viminale si era preparato a difendere la quiete della “città proibita”, il quadrilatero dei Palazzi della politica, confinando il corteo in un gomito obbligato (piazza della Repubblica-Largo Corrado Ricci-San Giovanni) che, nelle intenzioni, doveva imbrigliarlo nel reticolo del quartiere Esquilino. Dove un’eventuale devastazione – questo il ragionamento – avrebbe avuto obiettivi meno sensibili. Qualche bancomat, qualche semaforo, qualche bottega, qualche cassonetto. Il questore, e con lui il prefetto, Giuseppe Pecoraro, avevano riproposto – senza per altro farne mistero alla vigilia – quel format di “dissuasione statica”, che già aveva dato pessima prova di sé il 14 dicembre dello scorso anno. Reparti (2000 uomini) e mezzi schierati a chiudere i varchi della “zona rossa”. Con tempi di reazione lunghi e farraginosi. Nessun “filtraggio” significativo e nessun intervento sul corteo e nel corteo. Da accompagnare come un fiume, dalla sorgente alla foce, sorvegliando che non tracimasse. Ebbene, non ha funzionato. Tanto che a sera, con i fumi e le rovine urbane della battaglia, restano solo le parole di solidarietà del Capo dello Stato e del capo della Polizia, Antonio Manganelli, per chi, in divisa, ha combattuto per ore in strada e per quanti hanno avuto la peggio (15 gli agenti feriti).
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