Think Different
La storia e le foto di Steve Jobs, che si è saputo aggiungere al pantheon che creò
di Emanuele Menietti – @emenietti
L’ultimo messaggio per i suoi colleghi, per i dipendenti e per i clienti di Apple fu inviato pubblicamente da Steve Jobs il 24 agosto scorso. Con una lettera asciutta ed essenziale, nel suo noto stile, in quel giorno annunciò di aver lasciato il proprio incarico di amministratore delegato della società:
Ho sempre detto che se fosse mai arrivato il giorno in cui io non fossi stato più in grado di rispettare i miei obblighi e le aspettative come CEO di Apple, sarei stato il primo a farvelo sapere. Sfortunatamente quel giorno è arrivato.
Il controllo della società passò in mano a Tim Cook, ma l’attenzione nei giorni successivi all’annuncio fu concentrata quasi completamente su Jobs e sugli interrogativi legati alla sua salute da tempo precaria. Domande che hanno accompagnato gli ultimi anni di vita di Jobs e che a volte sono andate oltre il rispetto della privacy e di un momento doloroso.
La notizia della morte di Steve Jobs è stata annunciata dalla stessa Apple con una semplice pagina online: una foto in bianco e nero – forse la più celebre – accompagnata dalle date 1955 e 2011. L’avventura della società che oggi vende milioni di computer e decine di milioni di dispositivi mobili iniziò nel 1976 in un piccolo garage, grazie all’inventiva di Steve Jobs e del suo compagno di scuola Stephen Wozniak. All’epoca i due non avevano grandi risorse, l’informatica era quasi un hobby per smanettoni, ma le ambizioni non mancavano.
Jobs era nato il 24 febbraio del 1955 a San Francisco e fu dato in adozione dai propri genitori naturali. Paul e Clara Jobs si presero cura di lui. Paul lavorava nel settore immobiliare e negli anni seguenti all’adozione il resto della famiglia lo seguì, spostandosi da San Francisco a Mountain View e successivamente a Los Altos. Uno dei vicini della nuova casa era un impallinato di elettronica, fece amicizia con Jobs e gli insegnò i primi rudimenti.
Come racconta oggi il New York Times in un lungo articolo, un giorno mentre faceva i suoi esperimenti Jobs si rese conto di non avere un componente essenziale per costruire un frequenzimetro. Benché fosse ancora un adolescente, trovò il modo di mettersi in contatto telefonicamente con William Hewlett – il cofondatore della Hewlett-Packard – e di ottenere i pezzi che gli servivano. Hewlett rimase colpito dalla telefonata e propose a Jobs un lavoro estivo.
L’incontro con Wozniak avvenne qualche anno dopo, mentre Jobs era alla Homestead High School vicino Cupertino, sempre in California. Frequentarono un corso di elettronica insieme e divennero buoni amici. Nel 1971 Wozniak mostrò a Jobs un articolo di una rivista in cui si parlava degli hobbisti che all’epoca si erano dati da fare per studiare, e violare, la rete telefonica negli Stati Uniti. I due si misero alla ricerca di uno di questi personaggi, Captain Crunch, che aveva scoperto di poter effettuare chiamate gratuite facendo suonare un fischietto con una particolare frequenza nella cornetta del telefono.
Dopo settimane di ricerche, Jobs e Wozniak trovarono Captain Crunch, il cui vero nome era John Draper, e insieme si misero a produrre una serie di “blue-box”, dispositivi che venivano utilizzati per effettuare telefonate gratuitamente. Era un sistema illegale, che fruttò comunque circa seimila dollari ai tre.
Jobs si era intanto iscritto al Reed College di Portland (Oregon), ma dopo appena un semestre nel 1972 aveva abbandonato gli studi. Era troppo costoso e non voleva prosciugare i risparmi dei suoi genitori. Senza un posto dove stare, iniziò a farsi ospitare nelle stanze del dormitorio in cui stavano i suoi amici. Si mise anche a raccogliere i vuoti a rendere delle bottiglie di vetro per ottenere qualche centesimo e comprasi qualcosa da mangiare.
Nel 1974 pensò fosse il caso di tornarsene nella Silicon Valley, dove riuscì a trovare lavoro come tecnico presso il produttore di videogiochi Atari. L’impiego non gli piaceva molto e lo riteneva limitante. Dopo alcuni mesi decise di lasciare tutto e di fare un viaggio in India per trovare nuove ispirazioni. Tornato negli Stati Uniti e dopo un altro breve periodo presso Atari, nel 1975 Jobs iniziò a lavorare per HP insieme con Wozniak. I due partecipavano agli incontri dello Homebrew Computer Club, un gruppo di smanettoni che si trovava periodicamente per confrontarsi sulle ultime novità legate alla costruzione dei primi personal computer.
Wozniak realizzò un primo computer, l’Apple I, per mostrarlo agli altri amici del Club. Vedendolo, Jobs ebbe l’intuizione che quello strano dispositivo potesse trasformarsi in un successo commerciale. Convinse l’amico e nel 1976 misero insieme 1.300 dollari per fondare la loro società, che decisero di chiamare Apple, sembra per almeno un paio di motivi (la scelta è tema di dibattiti e leggende da sempre). Un concorrente da battere era Atari, e la parola “Apple” compariva prima in ordine alfabetico sugli elenchi telefonici. Il secondo motivo era legato a un lavoro estivo che aveva sostenuto qualche anno prima Jobs, lavorando in una piantagione di mele nell’Oregon.
Un manager di Intel venne a conoscenza dei progetti dei due amici e decise di investire nella loro iniziativa, mettendo a disposizione qualche tempo dopo la fondazione della società circa 250 mila dollari. Wozniak si sarebbe occupato degli aspetti tecnici e Jobs di quelli commerciali per portare al successo l’Apple I. Iniziarono a lavorare nel garage di casa Jobs a Los Altos, ma in breve tempo si spostarono in un piccolo ufficio a Cupertino, area urbana dove ancora oggi c’è la sede principale della società.
L’Apple I era molto promettente e sulla base delle loro prime esperienze, Wozniak e Jobs presentarono a una fiera l’Apple II nell’aprile del 1977. Rispetto al suo predecessore, il nuovo modello era più semplice da utilizzare e poteva essere personalizzato per eseguire particolari programmi. Sbaragliò la concorrenza degli altri piccoli produttori di computer, portando a una rapida crescita delle vendite. Dai due milioni di dollari del 1977 le vendite arrivarono a generare 600 milioni di dollari appena quattro anni dopo, quando la società fu quotata in Borsa. Nel 1983 Apple era già nell’elenco delle 500 società più importanti stilato dalla rivista Fortune.
A causa di alcuni problemi tecnici, l’Apple III faticò ad avere lo stesso successo nei primi tempi. L’anno prima del suo lancio, avvenuto nel 1980, Steve Jobs aveva iniziato a maturare la convinzione che il futuro dei computer fosse nell’interfaccia grafica (quella che usiamo ancora oggi con icone e puntatori). All’epoca i computer funzionavano principalmente con comandi testuali, fatta eccezione per Alto, un progetto sperimentale della Xerox che consentiva di controllare l’interfaccia grafica del dispositivo con un mouse. Jobs lo vide e ne rimase affascinato, tanto da definire “apocalittico” quel momento: era un sistema intuitivo, facile da usare, che avrebbe potuto avvicinare milioni di persone poco esperte all’informatica.
Nel 1981 si mise al lavoro con un gruppo di sviluppatori di Apple per lavorare a un progetto, il cui nome in codice era Macintosh. Tre anni dopo il primo Mac fu presentato durante un intervallo pubblicitario del Super Bowl con un video promozionale di un minuto diretto da Ridley Scott e destinato a entrare nella storia della comunicazione. La pubblicità suggeriva un’analogia tra il Grande Fratello di George Orwell e i PC vecchio stile della IBM, il principale produttore di computer dell’epoca.
Jobs aveva intanto convinto John Sculley, manager di successo di Pepsi-Cola, a diventare amministratore delegato di Apple. Sculley accettò dopo essersi sentito chiedere dal suo interlocutore: «Vuoi trascorrere il resto della tua vita vendendo acqua zuccherata, o vuoi cambiare il mondo?». Con il suo aiuto, Jobs mise sul mercato una versione rivista dell’Apple II e successivamente i computer Lisa e Macintosh, che diedero un contributo fondamentale per il passaggio all’interfaccia grafica.
Ma il cambiamento richiedeva tempo e inizialmente Lisa e Macintosh vendettero meno del previsto, portando a forti contrasti nell’azienda tra Sculley e Jobs. Il progetto Lisa fu tolto a Jobs dal consiglio di amministrazione di Apple, che decise anche di lasciare a casa circa 1.200 dipendenti per riorganizzarsi. Nel 1985, Steve Jobs decise di abbandonare la società che aveva creato meno di dieci anni prima.
L’idea era quella di ripartire da zero con una nuova impresa, dove sperimentare nuove soluzioni e avere più libertà di azione. Nel settembre dello stesso anno presentò NeXT e poco dopo ottenne un investimento di 20 milioni di dollari, ma la società non ebbe la fortuna sperata. Alla ricerca di nuovi spunti e stimoli, nel 1986 decise di acquistare Pixar, una società in difficoltà posseduta dal regista e produttore George Lucas. Tra acquisizione e nuovo capitale, Jobs investì complessivamente dieci milioni di dollari, scommettendo sul futuro della società, che si occupava della produzione di animazioni al computer.
La scelta si rivelò vincente: nel 1995 Disney produsse insieme a Pixar il film di animazione “Toy Story“, ottenendo un enorme successo con incassi oltre i 360 milioni di dollari. Pixar fu quotata in Borsa e contribuì a rendere Jobs un miliardario. Nel 2006 la società fu acquisita da Disney per 7,4 miliardi di dollari, con un accordo che rese Steve Jobs il principale azionista della società, con il 7 per cento delle azioni.
Nel frattempo, Jobs non perse mai di vista il mondo dell’informatica da cui veniva. Cambiò gli obiettivi della sua NeXT concentrandosi sul mondo delle imprese, lasciando anche da parte l’hardware per concentrarsi sulla sola creazione del software. La società non decollò mai, ma introdusse alcune importanti evoluzioni per l’informatica. Anche Apple non se la stava cavando bene, con seri problemi sul fronte della realizzazione di un nuovo sistema operativo che potesse competere con la concorrenza, a partire da quella massiccia di Microsoft.
Nel 1996 il primo responsabile della società, che non era più Sculley ma Gilbert Amelio, decise che fosse tempo di richiamare a bordo il cofondatore della società. NeXT fu assorbita da Apple attraverso un’acquisizione da 430 milioni di dollari e l’anno seguente Jobs iniziò a lavorare come consulente, diventando amministratore delegato tre anni dopo. Nel 1997 Apple lanciò una nuova campagna entrata nella mitologia comunicativa dell’azienda: “Think Different”, associata alle immagini di una serie di testimonial storici, Gandhi, Maria Callas, Bob Dylan, Martin Luther King, Hitchcock, e molti altri.
Con una scelta che gli costò diversi fischi e malumori durante una presentazione dei nuovi prodotti, con le critiche dei puristi, Steve Jobs decise di sotterrare l’ascia di guerra con Microsoft. Apple aveva bisogno di nuove risorse per rilanciarsi e la società di Bill Gates investì 150 milioni di dollari, stringendo un accordo per continuare a sviluppare il proprio programma Office per i Mac.
Al comando di Apple, Jobs cambiò sensibilmente il mercato dei computer, introducendo importanti innovazioni sia sul fronte del software che dell’hardware. L’idea alla base del successo commerciale dei prodotti rimase quella di sempre: semplificare l’uso dei dispositivi, renderli intuitivi, a tal punto da farci agilmente delle cose sopra senza necessariamente sapere come funzionano. Con i progettisti di Apple, Jobs lavorò anche per rendere migliore l’estetica dei computer, abbandonando il grigio delle plastiche da pochi soldi usate dalla concorrenza.
Arrivarono i computer tutto in uno e i portatili colorati, gli iMac bianchi con le loro linee essenziali e infine le nuove generazioni di dispositivi in alluminio. E poi il successo degli iPod e di iTunes, che diedero una spinta enorme per la trasformazione dell’industria musicale e del nostro modo di ascoltare la musica, e infine di telefonare e di avere Internet sempre in tasca con un iPhone. Un’evoluzione continua, accompagnata dalla rincorsa e dal progressivo adeguamento da parte della concorrenza.
La presentazione dei nuovi prodotti divenne un momento fondamentale, quasi liturgico, per gli appassionati di nuove tecnologie, per gli investitori e per gli esperti di comunicazione. Jobs saliva sul palco per raccontare le novità di Apple, il loro funzionamento e la visione che aveva portato alla loro nascita. Parole e concetti semplici accompagnati in genere da una sola frase portante, in grado di riassumere e rappresentare con efficacia il nuovo prodotto, uno schema molto studiato e imitato.
Il lancio del primo iPod dieci anni fa contribuì a rendere Steve Jobs e Apple conosciuti in tutto il mondo e una cosa sola. La spesa per un iPod era più fattibile rispetto a quella per un computer della società, il cui costo è sopra la media dei PC tradizionali, e in breve tempo milioni di persone ebbero in tasca un prodotto con lo strano simbolo di quella mela morsicata da un lato. L’iPod divenne un grande successo commerciale per l’intrattenimento e al tempo stesso una sorta di ambasciatore per far conoscere gli altri prodotti della società. E qualcosa di analogo avvenne negli anni seguenti con gli iPhone e da poco con gli iPad, i tablet che stanno modificando il nostro modo di usare e concepire i computer.
Negli ultimi anni Jobs assistette al crescente successo della propria società, affrontando al tempo stesso il cruccio di una salute instabile e il pensiero di avere poco tempo per i propri progetti. Nel 2004 fu annunciato che il CEO della società era stato sottoposto a un intervento chirurgico per una forma tumorale al pancreas, grave, ma curabile. L’operazione andò a buon fine e Steve Jobs si riprese in tempi relativamente rapidi, lasciando nel frattempo la gestione della società a Tim Cook, nuovo CEO di Apple dalla fine di agosto di quest’anno.
Due anni dopo nel corso di una delle sue famose presentazioni apparve molto dimagrito e debole. Circolarono domande e indiscrezioni sulla sua salute, che sconfinarono notevolmente nella sfera del privato e a volte del cattivo gusto. Qualcosa di simile accadde nel 2008 quando a un’altra presentazione apparve ulteriormente dimagrito e indebolito. Fu anche pubblicato per errore un articolo sulla sua morte, cui Jobs rispose con una vecchia citazione: «Le notizie sulla mia morte sono decisamente esagerate».
Nei primi giorni del 2009, Jobs annunciò che le sue condizioni di salute erano peggiorate, tanto da rendere necessari sei mesi di pausa dai propri incarichi di CEO di Apple. Nell’aprile dello stesso anno fu operato per un trapianto di fegato, che ebbe esito positivo. Tornò alla guida della società, ma dopo un anno e mezzo fu nuovamente obbligato a lasciare sempre per motivi di salute. Lo scorso giugno tenne la sua ultima presentazione e a fine agosto annunciò le dimissioni da amministratore delegato, segno che le condizioni di salute erano ulteriormente peggiorate.
Steve Jobs è morto oggi, all’età di 56 anni, assistito dai suoi familiari. Lascia tre figli, avuti dalla moglie Laurene con cui è stato sposato per vent’anni, e una quarta figlia avuta da una precedente relazione. Lascia anche una delle aziende informatiche più grandi e conosciute al mondo, che avrà ora il difficile compito di portare avanti lo spirito e l’intuizione del suo cofondatore.
Il 12 giugno del 2005, Steve Jobs tenne forse il suo discorso più celebre durante la consegna dei diplomi alla Stanford University di Palo Alto. In quell’occasione raccomandò ai neolaureati di non rinunciare ai loro desideri e di essere folli. Senza perdere tempo prezioso.
Negli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattina allo specchio chiedendomi: “Se oggi fosse l’ultimo giorno della mia vita, vorrei fare quello che sto per fare oggi?”. E ogni qualvolta la risposta è no per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato. […] Il nostro tempo è limitato, per cui non lo dobbiamo sprecare vivendo la vita di qualcun altro. Non facciamoci intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciamo che il rumore delle opinioni altrui offuschi la nostra voce interiore. E, cosa più importante di tutte, dobbiamo avere il coraggio di seguire il nostro cuore e la nostra intuizione. In qualche modo, essi sanno che cosa vogliamo realmente diventare. Tutto il resto è secondario.