Che cosa contesta Fininvest alla sentenza Mondadori
Proviamo a spiegare un groviglio di precedenti, cassazioni e "azioni di revocazione" contenuto nell'esposto di Marina Berlusconi
Ieri Fininvest ha presentato un esposto al ministero della Giustizia e al procuratore generale della Corte di Cassazione sulla sentenza di appello del cosiddetto lodo Mondadori, che aveva condannato la società a pagare 564 milioni di risarcimento alla Cir di Carlo De Benedetti. L’esposto [pdf], firmato da Marina Berlusconi, accusa i giudici della Corte di Appello di aver fondato la loro decisione su un “precedente” giudiziario che in realtà «non esiste»: sarebbe stato creato dai giudici dell’Appello attribuendo alla Cassazione nel suo pronunciamento su un altro caso una tesi che la Cassazione non avrebbe mai espresso.
Per Fininvest, il precedente in questione sarebbe di significato contrario a come inteso dalla sentenza e se fosse stato riportato e interpretato correttamente avrebbe portato a una decisione favorevole alla società. Secondo l’esposto il Codice di procedura civile e il precedente citato impongono che per l’annullamento e la sostituzione di un verdetto passato in giudicato sia necessaria la revocazione.
In pratica, quando a luglio i giudici di appello decisero che c’era stata effettivamente corruzione, Cir avrebbe dovuto impugnare la sentenza del 1991 facendo quindi azione di revocazione. La società di De Benedetti non lo fece perché la Corte di appello decise di rifare e ridecidere la causa, seguendo un principio affermato in precedenza dalla Cassazione penale. Un precedente in cui si dice che in caso di corruzione del giudice «la sentenza è inesistente e qualsiasi giudice civile può e deve rifare la causa e rideciderla». Nell’esposto di Fininvest si sostiene che i giudici di Appello avrebbero omesso altri passaggi della sentenza di Cassazione in cui si fa riferimento alla necessità della azione di revocazione, dettagli che modificherebbero sostanzialmente il senso del pronunciamento dell’alta Corte.
Fininvest cita nello specifico un passaggio della sentenza in cui viene riportato parzialmente uno stralcio della decisione della Cassazione. Nel testo citato una frase viene riportata solo parzialmente omettendo, con puntini di sospensione, «un inciso nel quale ci si riferiva in modo esplicito alla revocazione».
Per i legali della Cir invece l’esposto presentato lunedì da Marina Berlusconi non è fondato ed è basato su una «lettura fuorviante e lacunosa» della sentenza della Cassazione, che a sua volta fa riferimento a un altro precedente in cui la materia viene affrontata in maniera più approfondita. Gli avvocati di De Benedetti ricordano, inoltre, che la citazione parziale dei passaggi di altre sentenze ritenuti rilevanti da parte dei giudici è un atto abituale, salvo Fininvest non voglia sostenere «che lo stralcio sia stato fatto dolosamente». L’esposto è stato del resto presentato alle autorità che hanno il potere di avviare possibili azioni disciplinari nei confronti dei magistrati, cosa cui starebbe mirando la holding Berlusconi secondo i legali della Cir.
La vicenda sul cosiddetto lodo Mondadori va avanti da circa vent’anni. La sentenza di luglio scorso è la conseguenza in sede civile del processo penale finito nel 2007, con le condanne definitive per corruzione in atti giudiziari del giudice Vittorio Metta e degli avvocati Giovanni Acampora, Attilio Pacifico e Cesare Previti. La Cassazione confermò che la sentenza del 1991 della Corte d’appello di Roma sfavorevole a De Benedetti per ottenere il controllo di Mondadori fu “comprata” attraverso la corruzione di Metta con almeno 400 milioni di lire provenienti da alcuni conti esteri di Fininvest.
Il procedimento in sede civile fu avviato nel 2004 con la richiesta di un miliardo di euro di risarcimento da parte della Cir. Cinque anni dopo la sentenza di primo grado stabilì la necessità del risarcimento, confermata dal pronunciamento di Appello. A fine luglio Fininvest ha inviato il pagamento di 564 milioni di euro, in attesa del giudizio in Cassazione.