Il villaggio eschimese contro la Shell
Gli abitanti di Point Hope tra i ghiacci dell'Alaska si oppongono da anni, e con successo, alla costruzione delle piattaforme petrolifere
Da alcuni anni il paesino di Point Hope, perso in mezzo ai ghiacci dell’Alaska, sta combattendo una battaglia per impedire che la multinazionale petrolifera Royal Dutch Shell, la quinta azienda più grande del mondo, avvii un piano di trivellazioni nel mare vicino alla sua costa. Point Hope è uno sperduto villaggio di circa 750 abitanti nell’Alaska settentrionale, 200 km a nord del Circolo Polare Artico. I suoi abitanti, quasi tutti eschimesi di etnia Inuit, vivono della caccia ai caribù, agli orsi polari, alle foche e alle balene. La posizione geografica del paesino, che è sulla punta di una penisola che si protende per decine di chilometri nel mare dei Ciukci, come è chiamato l’Oceano Artico in quella zona, rende più facile la caccia alle balene, che sono portate ad avvicinarsi molto alle rive.
Alla fine degli anni Ottanta, il governo degli Stati Uniti mise all’asta i circa 380 “lotti” in cui aveva diviso i mari intorno all’Alaska. Le compagnie petrolifere ne acquistarono i diritti di utilizzo per alcuni anni, ma allo scadere delle concessioni nessuna era andata oltre qualche scavo di esplorazione. Nel 2008 il governo statunitense, tramite il Bureau of Ocean Energy Management, Regulation and Enforcement, ha concesso di nuovo l’affitto di 487 “blocchi” al largo delle coste a nord di Point Hope alle aziende petrolifere, per la cifra di circa 2,6 miliardi di dollari. Gran parte dei “blocchi” è andata alla Shell.
L’azienda stima che nel mare dei Ciukci si trovino 15 miliardi di barili di petrolio, e che le piattaforme offshore per il loro sfruttamento creeranno fino a 35.000 posti di lavoro annuali nello stato e daranno al governo locale miliardi di dollari nei prossimi decenni. Lo sfruttamento può avvenire solo pochi mesi all’anno, da luglio a ottobre, quando il ghiaccio oltre il circolo polare non è troppo spesso.
Tutto questo, però, non interessa alla maggior parte degli abitanti di Point Hope, che hanno paura di un incidente petrolifero con una perdita di petrolio nella loro zona, che avrebbe effetti devastanti sulla pesca delle balene alla base della loro economia. Finora sono riusciti a non far partire nessun lavoro di trivellazione. Il paesino ha fatto ricorso contro i permessi rilasciati dal governo, sulla base delle loro emissioni di gas inquinanti, ed è riuscito a mantenere lontane le aziende per quest’anno. Ha anche fatto ricorso contro la concessione degli affitti per mezzo delle aste, richiedendo maggiori studi sull’impatto ambientale e maggior coinvolgimento delle autorità locali.
Caroline Cannon, il primo cittadino del villaggio, è fermamente contraria alle trivellazioni, perché, dice, “voglio che i miei nipoti [che sono 25] abbiano la possibilità di fare lo stesso tipo di vita di sussistenza che io ho avuto.” Il rifiuto dei miglioramenti materiali è condiviso anche da altri abitanti, intervistati da Business Week. Ronald Oviok, 69 anni, ha detto “Non importa quanti soldi hai, quel denaro se ne può andare. Io non ho soldi. Non mi interessa niente dei soldi.”
La “resistenza” di Point Hope, tuttavia, non sembra destinata a durare. L’Environmental Protection Agency, l’istituzione governativa statunitense incaricata delle questioni ambientali, ha rilasciato questa settimana dei nuovi permessi di emissione di gas inquinanti, e lo scorso agosto un altro organismo governativo ha approvato i piani di esplorazione delle zone marine interessate, a patto di ottenere i permessi dagli organismi che si occupano della caccia e della pesca. Queste richieste di permessi, che sono ancora sotto esame, sono gli ultimi che mancano alla Shell per iniziare i lavori.
foto: AP Photo/Seanna O’Sullivan