Il calo delle adozioni in Regno Unito
I dati diffusi oggi dal governo britannico descrivono un sistema che non funziona (e in Italia la situazione non è molto diversa)
Da questa mattina sui giornali britannici campeggia la notizia di un preoccupante calo del numero delle adozioni, basata sui dati divulgati dal ministero dell’Istruzione britannico. Quasi tutti i titoli denunciavano un dato piuttosto forte: soltanto 60 bambini sono stati adottati nell’ultimo anno in Regno Unito. Il dato in realtà va letto con qualche approfondimento in più: col termine baby, usato dalla stampa britannica, si fa riferimento soltanto ai bambini che hanno meno di un anno di età (i più grandi vengono chiamati col termine child).
Anche il numero totale delle adozioni in Regno Unito è in calo, comunque. Calcolando solo i minori di un anno, si tratta di 80 bambini adottati in meno rispetto al 2007. Ma è dal 1976 che le adozioni diminuiscono costantemente per tutte le fasce d’età: dai 4000 bambini adottati venticinque anni fa si è arrivati, quest’anno, a 3050. Viene considerato preoccupante anche il dato che riguarda le adozioni di bambini appartenenti a minoranze etniche, che sono solo il 4 per cento del totale. Le cause di questo calo, almeno quello nel breve periodo, sono attribuite alle difficoltà economiche che sta attraversando il paese. Da tempo però si discute di rendere le procedure di adozione meno rigide: attualmente il tempo medio che trascorre tra la domanda di adozione e l’adozione è di due anni e sette mesi, un periodo considerevole se si tiene conto del fatto che i bambini dopo il quarto anno di età hanno molte meno possibilità di trovare una famiglia. Nel Regno Unito oltre 65.000 bambini sono affidati ai servizi sociali, il numero più alto registrato dal 1987.
In Italia circa 15.000 minori si trovano in strutture residenziali, e molti di questi non saranno mai adottati: la maggioranza di loro è ritenuta reintegrabile nella famiglia d’origine, portando così al paradosso per cui le adozioni internazionali – ben più costose – si rivelano spesso più semplici di quelle sul territorio nazionale. La situazione è descritta bene da un articolo del Sole 24 Ore dello scorso anno:
«L’Italia è, tra i paesi europei, lo stato che accoglie il più alto numero di bambini dal maggior numero di paesi del mondo – spiega Melita Cavallo, presidente del tribunale dei minori di Roma -: siamo presenti in 87 paesi con 72 enti autorizzati ed accreditati. Sono stati adottati dall’estero nel 2009 ben 3.964 minori. Nell’adozione nazionale, invece, il numero è esiguo, ma non possiamo dire che sia basso o alto perchè mancano termini di confronto». La spiegazione secondo la Cavallo, è un’altra: «In quasi tutti i tribunali si sono ridotte le dichiarazioni dello stato di adottabilità perché si attende la “documentata” prova della irrecuperabilità dei genitori e dei parenti entro il quarto grado che hanno rapporti significativi, per acquisire questa prova è necessario molto tempo e spesso si giunge a definire lo stato di adottabilità quando il bambino è divenuto un ragazzino».
In Italia solo il 13 per cento delle domande di adozione vanno a buon fine e nel 2003, ultimo dato registrato dall’Istat, le domande di adozione nazionale sono state circa 1.500. Siamo quindi di fronte a dati comunque di molto inferiori a quelli inglesi, con tempi burocratici addirittura più lunghi. Un’ulteriore importante differenza del sistema italiano rispetto a quello del Regno Unito è dato da una sentenza della Corte di Cassazione, che ha stabilito il divieto di scegliere l’etnia del bambino da adottare.