Gianni Riotta giurato a New York

L'ex direttore del Sole è stato sorteggiato nel Grand Jury di un processo per traffico di droga, e racconta com'è andata

Oggi sulla Stampa Gianni Riotta racconta delle due settimane passate a fare il giurato in un processo per traffico di droga a New York. Nei giorni scorsi Riotta aveva accennato alla cosa su Twitter (irridendo, a volte, il divieto di utilizzare Internet dall’aula imposto ai giurati).

Per due settimane ho visto la guerra alla droga in prima linea, come giurato popolare nella Special Narcotics Grand Jury di New York. I grandi traffici intercettati in minuziose inchieste che durano mesi, il piccolo spaccio di quartiere nel Bronx o a Harlem, intorno ai ristoranti del fast food. Un sistema di giustizia popolare che comincia come una grande seccatura, e porta poi i giurati – che rappresentano il buonsenso dei cittadini – ad infiammate discussioni sul bene e sul male, il diritto e la società, creando amicizie e antipatie, ma sollevando per una volta la benda della Giustizia.Il sistema delle giurie popolari» mi informa compunta la mia Jury Warden, Lynn, «è stato creato intorno al 1205 in Inghilterra e introdotto poi nella Costituzione degli Stati Uniti d’America, V emendamento: “Nessuno sarà tenuto a rispondere di reato, che comporti la pena capitale, o che sia comunque grave, se non per denuncia o accusa fatta da una Grande Giuria…” e in quella dello Stato di New York, articolo 1, sezione 6. Esistono due tipi di giurie, la Grand Jury, che decide se rinviare a giudizio o no un cittadino accusato, e la Petit Jury, che decide se assolvere o condannare gli imputati dalla Grand Jury. Lei servirà nella Grand Jury…».

E così, dal 1205 al 2011, la Grand Jury mi ha raggiunto. Ero già stato convocato una volta per servire nella Petit Jury, ma il sorteggio mi aveva favorito e non ero stato scelto. Una seconda selezione era andata smarrita tra Italia e Stati Uniti, innescando un valzer con la Contea di New York. Lavoro in Italia, non posso partecipare a una giuria. «Chi può testimoniare in suo favore?», ribatteva la giudice nell’edificio neoclassico di Centre Street, downtown Manhattan. E che io citassi l’ambasciatore Usa a Roma, Thorne, non faceva effetto. Arcigna, la giudice stampigliava un timbro rosso «MUST SERVE» sul mio certificato, incenerendo con un’occhiata la cancelliera, che azzardava «Ma Vostro Onore, ha ragione lui…». «Must Serve», obbligato a presentarmi al Tribunale della Contea.

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