Le conseguenze dello spread
Massimo Sideri sul Corriere spiega come e quanto stanno aumentando i tassi per il credito alle imprese
In queste settimane di crisi del debito e panico nei mercati abbiamo sentito usare quotidianamente la parola “spread”, a indicare la differenza tra il rendimento dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi. Questo differenziale sale da tempo, a testimonianza della scarsa solidità dell’economia italiana, e oggi Massimo Sideri sul Corriere racconta alcune delle conseguenze concrete di questo dato nella vita delle persone e delle loro imprese.
Anatomia di un credit crunch agli albori: le statistiche ufficiali, quelle di Bankitalia e dell’Abi, lo rileveranno con i bollettini sul terzo trimestre dell’anno. Per vedere l’impatto pieno sull’andamento degli impieghi bancari bisognerà forse attendere il quarto. Ma nel frattempo già da questa estate, parallelamente all’esplosione dell’Armageddon finanziario sulle Borse, è scattato il «repricing» dell’industria del credito e lo spread massimo applicato dalle principali banche sui prestiti alle imprese è salito fino a picchi del 9%. Facciamo un esempio pratico: a un piccolo imprenditore del lodigiano che si presenta alla Popolare di Lodi, Gruppo Banco Popolare, per un mutuo a 5 anni di 100 mila euro a tasso fisso non garantito da ipoteca viene «offerto» l’EuroIrs (il tasso swap di riferimento per questo tipo di finanziamenti) a 5 anni maggiorato di uno spread del 9%. Il risultato è un Taeg (tasso annuo effettivo globale) del 13,466% (11,33% con il variabile). Per una grande impresa si scende — si fa per dire — al 13,413%. In Unicredit con il mutuo chirografario, cioè anche qui senza nessun tipo di ipoteca o garanzia ad assistere il prestito, sempre a tasso fisso, 100 mila euro a 5 anni richiedono un tasso del 10,791% (10,025% optando per il variabile). Per Intesa Sanpaolo dipende dal tipo di ammortamento offerto ma il tasso ruota intorno al 10,4% (con il tasso variabile si scende di oltre un punto percentuale). I prestiti più economici, restando nel perimetro delle grandi banche, arrivano dal Monte dei Paschi di Siena: 100 mila euro a 5 anni senza ipoteche costa l’8,87% (6,76% con il variabile). In questi giorni, secondo i rumor, c’è anche chi sta ripensando a ulteriori ritocchi. Sono numeri che si commentano da soli e che in alcuni casi farebbero fare dietrofront a chiunque mettendo a nudo la strategia di molte banche di fronte alla crisi: chiudere il rubinetto dei finanziamenti partendo dalle aziende con un rischio di credito da medio a elevato, tenendosi al contempo stretti gli imprenditori con un rating «AAA» il cui sconto sul tasso può arrivare a diversi punti percentuali. Il gioco infatti è scivoloso perché la controparte di quei prestiti sono i ricavi e dunque il credit crunch potrebbe anche ritorcersi contro gli stessi istituti affossandone ulteriormente i bilanci.