Un po’ di numeri sulla pena di morte negli Stati Uniti
Le condanne a morte sono sempre meno e sempre più ponderate, ma chi uccide un bianco continua a subire un trattamento diverso da chi uccide un nero
Lo scorso 21 settembre negli Stati Uniti sono state eseguite due condanne a morte: quella di Lawrence Brewer, in Texas, e quella, contestatissima, di Troy Davis, in Georgia. Lawrence Brewer, bianco, era stato condannato per avere ucciso un uomo (nero) trascinandolo per la strada dopo averlo legato al suo pick-up. Troy Davis, nero, era stato condannato, nonostante molti dubbi, per avere ucciso un poliziotto (bianco). L’Economist di questa settimana ha preso spunto da questa coincidenza per analizzare i numeri sulla pena di morte negli Stati Uniti e il rapporto tra condanne a morte e origine razziale.
Il grafico mostra che il numero di esecuzioni e di condanne a morte è progressivamente diminuito negli ultimi anni, e che tra rinvii, ricorsi e vari procedimenti legali è aumentato il tempo che passa tra la condanna a morte e l’esecuzione della sentenza. Ma conferma per l’ennesima volta un dato noto da tempo: chi uccide un bianco ha più probabilità di essere condannato a morte rispetto a chi uccide un nero. I dati dell’FBI mostrano infatti un numero quasi identico di vittime di omicidi tra bianchi e neri, eppure sono proprio gli omicidi di uomini bianchi che producono i tre quarti di tutte le condanne a morte.