Perché a nessuno interessa lo Yemen
Dopo la nuova repressione di ieri la situazione è sempre più drammatica, scrive Foreign Policy, ma il mondo è passato a occuparsi d'altro
Le notizie arrivate ieri dallo Yemen, dove una nuova repressione dell’esercito ha ucciso decine di manifestanti, hanno improvvisamente riportato l’attenzione su una rivolta che sembrava essere finita e che invece era soltanto in stallo, ma senza però il livello di partecipazione e interesse da parte della comunità internazionale che si è visto non solo in Egitto, Tunisia e Libia, ma anche in Siria o in Bahrein. Il massacro di ieri, scrive Foreign Policy, è un segno inequivocabile che l’attuale status quo dello Yemen non è né stabile né sostenibile e che si deve arrivare presto a una vera transizione politica se si vuole evitare una nuova crisi umanitaria.
È stato molto difficile attirare l’attenzione sullo Yemen in questi mesi, fin da quando il presidente Ali Abdullah Saleh è fuggito in Arabia Saudita dopo essere scampato a un attentato nel suo palazzo. Distratti dalle guerre in Libia e in Siria, dalla difficile transizione dell’Egitto e dall’impasse diplomatica tra Israele e Palestina, gli Stati Uniti e gran parte della regione araba hanno messo lo Yemen in un angolo. Nonostante migliaia di persone continuassero a protestare regolarmente e gli analisti avvertissero che la crescente disperazione della popolazione avrebbe potuto creare un disastro, l’emergenza è stata messa da parte. Il regime di Saleh ne ha approfittato per rimandare, distrarre, confondere, dividere e ove possibile reprimere il movimento di protesta. E ora gli yemeniti stanno pagando con il sangue questa scelta.
Gli Stati Uniti, il Consiglio di Cooperazione del Golfo e le Nazioni Unite, dice FP, dovrebbero costringere Saleh a lasciare il potere senza chiedere in cambio alcuna amnistia per i suoi uomini. Il che non significa andare verso un intervento militare, ma sostenere pienamente l’opposizione yemenita.
Mesi di stallo hanno reso questo compito ancora più difficile. Il movimento di protesta in Yemen è stato uno dei più forti tra quelli dei paesi arabi, tanto che lo scorso marzo sembrava inevitabile che il regime di Saleh sarebbe crollato a breve. Invece non è crollato neanche quando il presidente ha lasciato il paese. Gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno in pratica lasciato la questione Yemen all’Arabia Saudita e al Consiglio di Cooperazione del Golfo, che hanno dimostrato presto di non essere interessati a trovare una vera soluzione alla crisi. Le atrocità degli ultimi giorni dovrebbero rinnovare l’esigenza di un intervento immediato, consapevoli però che nel frattempo la situazione si è molto complicata. L’opposizione è più frammentata e il paese è schiacciato dal collasso dell’economia.
Nonostante questo, conclude FP, probabilmente l’attenzione della comunità internazionale continuerà a restare lontana dallo Yemen. Lo spazio politico e di attenzione per ora è occupato principalmente dalla lotta della Palestina per il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, e dalla fine della guerra in Libia. In più l’opinione pubblica è ormai satura di rivolte sanguinose, e dopo le cronache quotidiane degli avvenimenti in Siria e in Libia tende a considerare quelli dello Yemen soltanto come gli ennesimi episodi di un’infinita litania di atrocità. Eppure aspettare ancora potrebbe portare anche a una guerra civile. Non aspettiamo che succeda, scrive FP.