La Slovacchia non vuole aiutare l’euro
Sta superando la crisi da sola, facendo grossi sacrifici, e potrebbe far saltare gli aiuti alla Grecia e il fondo di emergenza europeo per la crisi
La crisi economica che sta interessando l’Europa non risparmia la Slovacchia. Nelle ultime settimane nel paese ci sono state manifestazioni e scioperi contro il governo e le sue proposte di nuovi piani di austerità. Nella capitale Bratislava, lo scorso mercoledì ottomila insegnanti hanno manifestato contro i tagli alla scuola, il giorno seguente 1.500 medici su 6.500 hanno annunciato di volersi dimettere per le basse paghe e per le strutture sanitarie inadeguate. Le proteste continuano e non sono semplicemente una questione interna: dai malumori della Slovacchia potrebbe dipendere buona parte del futuro dell’eurozona, spiegano oggi sul tedesco Spiegel.
Nonostante una crescita relativamente buona negli ultimi mesi, il paese è il secondo Stato più povero in Europa e in diverse regioni il tasso di disoccupazione è molto alto con una persona su tre senza lavoro. Il primo ministro Iveta Radicova, di centrodestra, ha avviato un piano di austerità molto pesante, tale da rendere impensabile la richiesta di altri sacrifici. Eppure non ci sono alternative, perché la Slovacchia dovrà dare un contributo fino a 7,7 miliardi di euro per il fondo di emergenza per affrontare la crisi dell’Unione Europea, l’European Financial Stability Facility (EFSF). Non è una cifra da poco per un paese che conta 5,4 milioni di abitanti e al momento Radicova troverà difficilmente una maggioranza in Parlamento disposta ad accettare nuove misure di austerità per mettere insieme il fondo da destinare all’Europa.
I politici slovacchi avevano dimostrato già lo scorso anno di non essere ben disposti verso i paesi dell’eurozona in difficoltà. La maggioranza di centrodestra lo scorso anno votò contro le proposte di dare aiuti economici alla Grecia, che iniziava a rischiare lo stato di insolvenza. All’epoca Radicova disse che i cittadini slovacchi avevano dovuto affrontare riforme molto dolorose, senza ricevere nemmeno un centesimo dall’Europa. Se il Parlamento slovacco dovesse votare contro il nuovo EFSF nell’autunno, l’intero piano per sostenere le nazioni europee in difficoltà potrebbe subire un durissimo contraccolpo. Ci sarebbero seri problemi per la moneta unica, tornerebbero le voci su una possibile uscita della Grecia dall’euro insieme ad altri paesi in difficoltà e si registrerebbe una nuova ondata di instabilità e speculazioni sui mercati finanziari.
Radicova è consapevole dell’enorme rischio e per questo motivo sta facendo di tutto per convincere la sua maggioranza della necessità di approvare il nuovo piano economico, ma al momento sta combattendo da sola l’intera battaglia. All’interno dei partiti che sostengono il suo governo c’è la ferma opposizione di Richard Sulik di Libertà e Solidarietà (SaS), i cui voti sono molto importanti per far passare il piano. Sulik dice che il pagamento di una cifra così grande porterebbe il paese su una strada diretta verso il socialismo, e quindi «dobbiamo lasciare che la Grecia vada in bancarotta».
Sulik è un economista e imprenditore, presiede il Parlamento – che in Slovacchia è unicamerale – ed è un fermo sostenitore del libero mercato. Ha basato buona parte del proprio successo d’impresa grazie alle poche leggi che regolano il mercato rispetto alle norme in altri paesi europei. Entrò nel mondo degli affari aprendo una catena di copisterie nei primi anni Novanta e successivamente riuscì a fare lobby nei confronti del ministro delle Finanze, spingendo per rendere la Slovacchia una delle nazioni europee più liberali.
Le riforme avevano al loro centro una flat tax da applicare sia alle aziende che ai privati. In Slovacchia pagano praticamente tutti una imposta al 19 per cento, condizione che ha stimolato gli investimenti anche dall’estero. Nel paese sono attive diverse multinazionali come Samsung, Volkswagen, Porsche, Audi, Kia e Peugeot. Nel 2007 l’economia del paese è cresciuta del 10 per cento e nel gennaio del 2009 la Slovacchia è entrata nell’eurozona. Circa un quarto delle prestazioni economiche del paese derivano dall’industria dell’automobile e in un momento di forte crisi come questo, dove le vendite di auto si contraggono, le conseguenze si fanno sentire sull’economia slovacca. Nel 2009 il prodotto interno lordo si è ridotto del cinque per cento.
Dopo le prime avvisaglie della crisi un paio di anni fa, il governo ha deciso di non abbandonare la strada del liberalismo. Invece di attivare prestiti per stimolare l’economia o alzare le imposte, è stata tagliata la spesa in settori pubblici della scuola, degli ospedali e delle infrastrutture. Seguendo questa strada, nel 2013 il paese dovrebbe riuscire a rispettare nuovamente i parametri di Maastricht, che impongono un determinato rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. Nel primo trimestre del 2011 l’economia è così cresciuta del quattro per cento.
Tirando la cinghia, come dicevano mercoledì scorso gli insegnanti in piazza a Bratislava, il paese è riuscito a levarsi d’impiccio e ora i cittadini slovacchi non ritengono giusto pagare anche per il debito greco. Questo modo di vedere le cose è in parte dovuto al passato, quando il mondo era ancora diviso in due blocchi contrapposti. La Grecia era al di qua della cortina di ferro, quindi per gli slovacchi era nell’area del benessere: pensano se la debba cavare da sola, come hanno fatto loro negli ultimi anni.