Nikita Kruscev e Disneyland
Il 19 settembre del 1959 fu il giorno che il capo dell'Unione Sovietica, in visita negli Stati Uniti, seppe che nonostante le sue insistenze non poteva andare a Disneyland
Il 19 settembre del 1959, 52 anni fa, l’allora capo dell’Unione Sovietica Nikita Kruscev seppe che non avrebbe potuto visitare Disneyland. Kruscev si recò negli Stati Uniti per un giro da 11 giorni che lo portò a visitare parecchi Stati, dall’Iowa alla California, e aveva insistito per andare a vedere il parco di divertimenti della Disney, che gli avevano molto consigliato. La visita non fu possibile, per una serie di ragioni che qualche anno fa Lorenzo Cairoli ha ben raccontato in un articolo per l’Arena di Verona. Quello di Kruscev a Disneyland è diventato, nel tempo, uno dei due aneddoti per i quali l’ex capo dell’Unione Sovietica viene ricordato: l’altro è quello della scarpa battuta sul tavolo durante un’assemblea delle Nazioni Unite.
Se chiedi chi era Kruscev sette persone su dieci ti risponderanno ‘quello che sbattè le scarpe sul banco dell’Onu’. Quelle scarpe, la guerra fredda, il muro di Berlino e la Baia dei Porci l’hanno reso immortale. Fino a 30 anni fu praticamente analfabeta, a 50 diventò premier dell’Unione Sovietica. Per Molotov era un ciabattino furbo e mimetizzato, nemico della rivoluzione. Biagi scrisse di lui ‘aveva il vezzo di cambiare continuamente versione sulla morte di Berija. Una volta diceva che l’aveva ammazzato lui, un’altra passava il merito a Mikojan, un’altra al generale Moskalenko’. Fidel Castro, quando seppe che voleva ritirare i missili da Cuba, gli diede del ‘Coglione, stronzo, figlio di puttana’ mentre per le strade dell’Avana tutti cantavano “Nikita mariquita, lo que se da no se quita (Nikita mammoletta, quel che si dà non si riprende)”. I russi lo ricordano perchè denunciò gli orrori delle Grande Purga staliniana e perchè portò alle stelle il prezzo della vodka. Una volta vedendo un quadro astratto disse che sembrava la merda di un cane, ma non era un Goering russo, uno che appena sentiva parlare di cultura toglieva la sicura alla sua Browning. Permise la pubblicazione di opere come ‘Gli eredi di Stalin’ o ‘La giornata di Ivan Denisovic’ e non giustificò mai la censura al ‘Dottor Zivago’; con trecento parole in meno, sosteneva, era il romanzo più inoffensivo di questa terra.
Un mese fa è uscito nelle librerie americane ‘Programmed to Kill: Lee Harvey Oswald, the Soviet KGB, and the Kennedy Assassination‘ e Kruscev è tornato di moda. L’autore del libro, Ion Mihai Pacepa, ex capo dei servizi segreti romeni, sostiene che dietro all’omicidio di JFK non ci fu nessuna cospirazione interna, nessun coinvolgimento della Cia; l’ordine partì da Kruscev, il KGB fece il resto. Vera o falsa la rivelazione ha riportato Kruscev su tutte le prime pagine con un clamore che forse non ebbe nemmeno quando visitò l’America. Accadde nel settembre del 1959. Kruscev atterrò a Washington a capo di una delegazione imponente, roba che per rivedere un simile dispiegamento di forze toccò aspettare il Craxi cinese del 1986. Visitò Des Moines, granaio d’America, New York e San Francisco. Incontrò Eisenhower a Camp David e passò 24 ore d’inferno a Los Angeles. La folla tirò pomodori contro la sua limousine e la polizia gli vietò di visitare Disneyland. La cosa lo indispettì a tal punto che nel bel mezzo della colazione offertagli dalla Twentieth-Century Fox sbottò platealmente.”Ho appreso poco fa che non potrò visitare Disneyland? Perchè? Nascondete qualche base militare lì? Cosa c’è di così terribile in quel parco che le autorità americane non possono garantire la mia sicurezza? Un’improvvisa epidemia di colera? Tutti i gangsters della California si sono dati appuntamento lì per farmi la pelle? Cosa devo fare per vedere Disneyland? Suicidarmi?”. Disse proprio così: ‘Then what must I do? Commit suicide?’ e lo disse davanti alle telecamere, ai giornalisti di mezzo mondo, agli occhi sgranati di Frank Sinatra, Bob Hope, David Niven e Marylin Monroe.